Un tema molto delicato riguarda i casi di bambini contesi tra genitori in crisi coniugale, i quali si trovano a dover affrontare la loro relazione, rispettando principalmente le necessità del figlio ma anche il diritto dell’altro genitore ad essergli vicino.
Capita, purtroppo, che la rottura della relazione coniugale abbia come conseguenza la rivendicazione del figlio ed il desiderio di tenerlo presso di sé da parte di ciascun genitore; questo può portare a tentativi di allontanamento dall’altro genitore e, in casi estremi – soprattutto se i genitori hanno nazionalità diverse – a vere e proprie sottrazioni di minori, punite a diverso titolo dall’ordinamento.
FATTISPECIE PENALE
Innanzitutto va detto che tale condotta è sanzionata penalmente dal nostro codice penale, il quale all’art. 574-bis, recita:
“ Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque sottrae un minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l’esercizio della responsabilità genitoriale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se il fatto di cui al primo comma è commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e con il suo consenso, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
Se i fatti di cui al primo e secondo comma sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la condanna comporta la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori ”.
LA CONVENZIONE DELL’AJA
A livello internazionale vi è una normativa specifica sull’argomento, contenuta in particolare nella Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, che disciplina gli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, convenzione che è stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 15 gennaio 1994 n. 64.
In primo luogo bisogna precisare che la Convenzione si applica nelle relazioni tra gli Stati che l’hanno firmata o vi hanno aderito, sempre che l’adesione sia stata accettata dagli altri Stati; per verificare quali sono si consiglia di consultare il sito del Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale, che riporta la tabella aggiornata degli Stati aderenti.
QUANDO SI HA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE
L’ambito di applicazione della Convenzione è quello della “sottrazione internazionale”, che si ha quando un minore avente la residenza abituale in un determinato Stato è condotto in un altro Stato senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale, che comprende il diritto di determinare il luogo di residenza abituale del minore; alla sottrazione è equiparato il trattenimento del minore in uno Stato diverso da quello di residenza abituale, senza il consenso del genitore o di altro soggetto titolare dell’affidamento.
Fondamentale, dunque, è determinare la residenza del minore e, in caso di separazione o divorzio, quale dei genitori abbia l’affidamento del minore.
PRESUPPOSTI PER L’APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE
Altro presupposto per l’applicazione della Convenzione è che il minore sottratto abbia meno di sedici anni di età; al compimento del sedicesimo anno, la procedura si interrompe, anche se è già in fase giudiziaria.
Inoltre, è previsto che la persona che richiede il rimpatrio del minore sia il titolare della responsabilità genitoriale e al momento della sottrazione esercitava effettivamente le corrispondenti funzioni.
Di fondamentale importanza sono gli artt. 12 e 13 della Convenzione, che dispongono quanto segue.
PROCEDURA PER IL RIMPATRIO
Art. 12 “ L'Autorità adita ordina il ritorno immediato del minore che fosse stato trasferito o trattenuto illecitamente giusta l'articolo 3 qualora fosse trascorso meno di un anno dal trasferimento o dal mancato ritorno al momento della presentazione dell'istanza innanzi all'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente in cui si trova il minore.
L'autorità giudiziaria o amministrativa deve ordinare il ritorno del minore pur se adita dopo lo scadere dell'anno di cui al capoverso precedente, salvo che sia accertato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente.
L'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto può sospendere il procedimento o respingere l'istanza di ritorno del minore qualora abbia motivo di credere che questi sia stato condotto in un altro Stato”.
Art. 13 “ Nonostante il disposto del precedente articolo, l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora la persona, l'istituzione o l'ente che vi si oppone accerti: a) che la persona, l'istituzione o l'ente che aveva cura del minore non esercitava di fatto il diritto di custodia all'epoca del trasferimento o del mancato ritorno, ovvero aveva acconsentito o ha assentito a posteriori a questo trasferimento o mancato ritorno; oppure b) che vi è il grave rischio che il ritorno esponga il minore a un pericolo fisico o psichico, ovvero lo metta altrimenti in una situazione intollerabile. L'autorità giudiziaria o amministrativa può anche rifiutare di ordinare il ritorno del minore ove accerti che questi vi si oppone e che ha raggiunto un'età e una maturità tali che appare opportuno tener conto di questa opinione. Nell'apprezzamento delle circostanze di cui al presente articolo, le autorità giudiziarie o amministrative devono tener conto delle informazioni sulla situazione sociale del minore, fornite dall'Autorità centrale o da qualsiasi altra autorità competente dello Stato della dimora abituale di costui”.
PROVVEDIMENTO DI RIFIUTO AL RIMPATRIO
A proposito del possibile rifiuto da parte dell’autorità giudiziaria o amministrativa al rimpatrio del minore, su richiesta del genitore affidatario, con particolare riferimento al punto b) dell’art. 13 della Convenzione, è intervenuta di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza 25 maggio 2016 n. 10817, che ha confermato la legittimità del provvedimento di diniego all’istanza di rimpatrio in Ungheria presentata dalla madre di due minori, in quanto, dalle risultanze probatorie, risultava dimostrata la sussistenza di un fondato rischio per i minori di essere esposti, per il fatto del loro ritorno, a pericoli fisici e psichici, o, comunque, di trovarsi in una situazione intollerabile.
Ciò in quanto, in base al principio del Best Interest of the Child, la sentenza impugnata aveva posto in evidenza la probabilità di esposizione dei minori a situazione di rischio dal punto di vista fisico, ma soprattutto psicologico, a causa della condotta materna "da loro percepita come punitiva e violenta, caratterizzata da percosse, punizioni corporali, alimentazione non adeguata..", nonchè in considerazione delle serie difficoltà di inserimento nel nuovo ambiente, anche scolastico.