Si parla di “affidamento bancario” o “ fido bancario” per indicare l’ammontare massimo del credito messo a disposizione del cliente da un intermediario, in genere una banca o una società finanziaria; il fido consiste dunque nell’apertura di una linea di credito in favore di un privato o di una impresa.
Un’interessante vicenda sottoposta all’esame della Corte Suprema ha visto contrapporsi il diritto di un soggetto titolare di conto corrente con affidamento bancario, garantito da terzi fideiussori, a mantenere in vita il rapporto con l’Istituto di credito e l’interesse di quest’ultimo alla revoca del fido, sul presupposto della giusta causa di risoluzione del contratto.
RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PER GIUSTA CAUSA
Nello specifico, il contenzioso in primo grado era sorto con la notifica di un decreto ingiuntivo da parte della banca al suo cliente ed ai suoi fideiussori, a seguito del recesso dal contratto di affidamento esercitato dalla banca, che, pertanto, richiedeva il pagamento del saldo per giusta causa; il correntista si opponeva al decreto ingiuntivo, rilevando di non aver sconfinato dagli affidamenti e di aver tenuto sempre un comportamento improntato alla diligenza ed alla buona fede.
SCONFINAMENTO DEI LIMITI DI FIDO
Rigettata l’opposizione la sentenza di primo grado veniva impugnata dal correntista, che vedeva respingere il proprio appello anche dalla Corte territoriale, la quale affermava che il recesso era stato operato per giusta causa atteso che, se era vero che il debitore principale non aveva sconfinato dagli affidamenti, era altresì vero che sia lui che i fideiussori avevano compiuto atti di disposizione del proprio patrimonio tali da diminuire la garanzia del credito, rendendo oltremodo più difficoltoso l'eventuale suo recupero, cosicchè il comportamento della Banca era risultato nè pretestuoso nè arbitrario ma tenuto in buona fede, richiedendo il rientro dagli affidamenti entro il termine di 15 giorni.
Avverso tale decisione ricorreva in cassazione il correntista, chiedendo alla Corte Suprema di pronunciarsi sulla legittimità del recesso dal contratto di apertura di credito comunicato dalla banca al cliente, allorchè non ricorra l'insolvenza di quest'ultimo e prima che sia stata verificata l'insolvenza dei suoi garanti; chiedeva inoltre alla Corte di chiarire se qualsiasi atto dispositivo del debitore e dei garanti comportino una diminuzione delle garanzie tale da legittimare il recesso, in mancanza di prova sull'idoneità del patrimonio del debitore e del garante, a soddisfare il credito della banca entro i limiti dell'affidamento.
LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE
La Corte di Cassazione, con sentenza 8 luglio 2016 n. 17291, ha accolto il ricorso, enunciando importanti principi di diritto in merito alla questione di quando può dirsi che la decisione della banca di recedere dal rapporto di affidamento in conto corrente possa dirsi del tutto "imprevista o arbitraria".
Rileva la Corte, richiamando precedenti giurisprudenziali (Cass. Sez. 1, Sentenze nn. 9321 del 2000 e 4538 del 1997) che "in caso di recesso di una banca dal rapporto di credito a tempo determinato in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, il giudice non deve limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell'ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate".
ELEMENTI DI PROVA DELLA GIUSTA CAUSA DI RECESSO
Al riguardo, la Banca, per esercitare il suo diritto di recesso, non deve accertare e dimostrare che sussista un vero e proprio stato di insolvenza dei debitori (peraltro di difficile affermazione, essendo materia riservata all'Autorità giudiziaria in sede prefallimentare) in quanto, in tal modo si richiederebbe ad essa, irragionevolmente, di recuperare il proprio credito quando questo sia divenuto addirittura irrecuperabile.
Tuttavia, è altrettanto vero che il giudice deve verificare che le previsioni di esercizio della giusta causa siano tali da risultare "non impreviste o arbitrarie", considerando in primo luogo se il debitore abbia o meno superato il limite dell'affidamento concesso dall'istituto di credito e valutando la correttezza ed il rispetto dell'accordo negoziale.
PATRIMONIO RESIDUO DEL DEBITORE E CORRETTEZZA CONTRATTUALE
Inoltre, deve essere preso in considerazione il valore del patrimonio residuo del debitore e la sua capacità di soddisfare la garanzia della banca; in sede giudiziaria tale valutazione dovrà essere effettuata tramite Consulenza Tecnica d’Ufficio che il giudice dovrà opportunamente disporre.
In mancanza di prova circa l'insufficienza del patrimonio del debitore e/o dei fideiussori la revoca del fido da parte della banca deve ritenersi ingiustificata, con conseguente diritto del correntista al ripristino dell’affidamento o, in alternativa, al risarcimento dei danni conseguenti alla risoluzione del conto corrente.