È entrato in vigore il 20 luglio 2017 il Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, contenente la Revisione della disciplina in materia di impresa sociale; con tale decreto il legislatore completa una parte della riforma del terzo settore, introdotta con la legge n. 106 del 6 giugno 2016.
Quest’ultima legge ha riorganizzato il terzo settore, dettando nuove regole per gli enti che perseguono finalità non lucrative, tra cui associazioni, fondazioni, onlus e, da ultimo, le imprese sociali.
LEGGE DI RIFORMA DEL TERZO SETTORE
Si tratta di una legge delega, che dà mandato al Governo, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge, di emanare uno o più decreti legislativi sui seguenti argomenti:
1) revisione della disciplina del titolo II, del libro I del codice civile: saranno oggetto di modifica la disciplina delle associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, sia riconosciute come persone giuridiche che non riconosciute;
2) riordino della disciplina del terzo settore dal punto di vista civilistico e tributario, con la previsione di un codice per il coordinamento delle disposizioni in materia, nonché l'istituzione di un registro nazionale del terzo settore, suddiviso in apposite sezioni e tenuto dal Ministero del Lavoro;
3) revisione della disciplina dell'impresa sociale, di cui al decreto legislativo oggi in esame;
4) istituzione del servizio civile universale, destinato ai giovani dai 18 ai 28 anni, cui si è dato attuazione con il decreto legislativo n. 40 del 6 marzo 2017.
DEFINIZIONE DI IMPRESA SOCIALE
Vediamo, dunque, in sintesi, quali sono i punti principali della nuova disciplina delle imprese sociali di cui al decreto legislativo n 112/2017, partendo dalla definizione contenuta all’art. 1, in base alla quale si qualificano imprese sociali tutti gli enti privati che “esercitano in via stabile e principale un'attivita' d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalita' civiche, solidaristiche e di utilita' sociale, adottando modalita' di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il piu' ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività”.
Sono invece escluse da tale definizione le societa' costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati; l’esclusione di tali enti si spiega in quanto, come esporremo meglio in seguito, l’impresa sociale ha l’obbligo di destinare una parte degli utili allo scopo sociale oggetto della propria attività o all’investimento in altre attività non lucrative, proprio come la legge già prevede per le cooperative sociali.
Per queste ultime, infatti, il decreto legislativo dispone l’acquisizione di diritto della qualifica di imprese sociali; diversamente, gli enti religiosi potranno essere riconosciuti come imprese sociali, nello svolgimento delle attività d’impresa non lucrative, a condizione che adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che recepisca le norme del decreto e che costituiscano patrimonio destinato allo scopo d’impresa e rispettino l’obbligo di tenuta delle scritture contabili.
OGGETTO SOCIALE
Quanto all’oggetto sociale, l’impresa in questione deve svolgere una o più attività previste del decreto, in via prevalente, cioè in modo che i ricavi derivanti dall’attività sociale siano pari almeno al 70% del totale.
I settori in cui l’impresa sociale può operare variano dal settore socio-educativo al settore socio-sanitario/assistenziale, dalla formazione alla tutela ambientale, dalla valorizzazione del patrimonio artistico al recupero dei beni confiscati alla mafia ed altro ancora; rientrano tra le imprese sociali anche le attività del cosiddetto “commercio equo-solidale” e le attività culturali, formative e turistiche ad esso collegate.
A prescindere dall’oggetto sociale sono considerate “di interesse generale”, dunque rientranti tra le imprese sociali anche quelle che impiegano, per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, almeno il 30% di lavoratori svantaggiati, disabili o immigrati, secondo le definizioni della legislazione specifica in materia.
ASSENZA DELLO SCOPO DI LUCRO
Quanto all’assenza dello scopo di lucro, che deve caratterizzare le imprese sociali, il decreto dispone che esse devono destinare utili ed avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio; a tal fine è vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati, a fondatori, soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di qualsiasi altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto sociale.
In deroga al divieto predetto l'impresa sociale può destinare una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, oppure alla distribuzione, anche mediante aumento gratuito del capitale sociale o l'emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci, in misura comunque non superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.
E’ prevista anche la possibilità di erogazioni gratuite in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano fondatori, associati, soci dell'impresa sociale o società da questa controllate, finalizzate alla promozione di specifici progetti di utilità sociale.
Nella seconda parte dell’articolo, nei prossimi giorni, esamineremo le novità del decreto legislativo riguardanti le modalità di costituzione dell’impresa sociale, di coinvolgimento dei lavoratori, gli obblighi contabili e le agevolazioni fiscali in favore di questo tipo di enti.