Con la legge 6 agosto 2015 n. 132 sono state introdotte importanti modifiche al codice di procedura civile riguardanti la materia delle espropriazioni civili, cioè di quei procedimenti giudiziari, detti esecutivi, mediante i quali un soggetto creditore può pignorare i beni del debitore insolvente per ottenere la soddisfazione del proprio credito.
Prima di esporre tali modifiche legislative vediamo come si giunge alla fase del pignoramento.
Ciò può avvenire solo dopo aver fatto accertare in giudizio il proprio credito ed avere ottenuto una sentenza o un decreto ingiuntivo da far valere nei confronti del debitore; in questo caso il titolo esecutivo ottenuto sarà di natura giudiziale ma è anche possibile agire in base ad altri titoli che la legge riconosce come esecutivi, quali ad esempio le cambiali, le scritture private autenticate in cui si riconosce un debito e gli altri titoli previsti all’art. 474 c.p.c..
Una volta ottenuto il titolo esecutivo ed individuati i beni del debitore da espropriare si darà inizio alla espropriazione con l’atto di pignoramento, preceduto dalla notifica al debitore del cosiddetto “precetto”, cioè di un atto con il quale si intima al debitore di pagare la somma dovuta al creditore nel termine massimo di 10 giorni, avvertendolo che, in caso di mancato pagamento nel suddetto termine, si darà corso ad espropriazione forzata.
La legge consente al creditore di espropriare tutti i beni del debitore, da intendersi non solo come beni materiali ma anche come beni immateriali, per esempio il denaro o i titoli finanziari, le partecipazioni in società, lo stipendio e la pensione, con alcune limitazioni previste per queste ultime due ipotesi e per alcune tipologie di beni necessari alla sussistenza o strumentali all’esercizio della professione.
E’ possibile pignorare anche i beni immobili di proprietà del debitore; si tratta, tuttavia, di dover far fronte ad una procedura lunga e costosa, che si rende necessaria se il debitore non possiede altri beni e se il credito da recuperare è ingente.
Va detto che, in generale, le procedure esecutive, in particolare quelle immobiliari, spesso si rivelano scarsamente efficaci e sicure per il creditore, soprattutto in questi ultimi tempi di crisi economica, che ha visto ridursi notevolmente i patrimoni dei soggetti con la conseguente difficoltà, per il creditore, di potersi soddisfare su di essi.
Ulteriore problema è dato dalla eccessiva lungaggine delle procedure esecutive, che prevedono una serie di adempimenti a carico del creditore con tempistiche spesso incongrue rispetto alla necessità di agire celermente per evitare che il debitore si sottragga ai propri obblighi e distragga i propri beni.
Proprio per dare una risposta a queste difficoltà e rendere più efficienti le procedure esecutive è intervenuto di recente il legislatore con la legge citata all’inizio, la n. 132/2015, che ha introdotto importanti novità in materia.
Ciò premesso esaminiamo le principali innovazioni in materia di espropriazioni immobiliari.
Il legislatore ha innanzitutto ridotto sensibilmente i termini entro i quali il creditore deve rivolgersi al Tribunale competente per chiedere di procedere alla vendita forzata del bene, con istanza che l’art. 497 c.p.c. prevedeva dovesse essere presentata entro 90 giorni dalla data della notifica del pignoramento.
Ebbene, oggi, con la riforma, tale termine è stato dimezzato a 45 giorni, pena l’estinzione del processo; dunque, un notevole passo in avanti nella direzione della celerità del procedimento.
Analogamente sono stati ridotti i termini previsti per il deposito, da parte del creditore procedente, della documentazione cosiddetta “ipocatastale ventennale”, cioè di quelle certificazioni estratte dal catasto e dalla conservatoria dei Registri immobiliari, che possono essere rilasciate da un notaio, senza le quali il Giudice non può procedere alla vendita dell’immobile pignorato; anche stavolta il termine è stato dimezzato, da 120 a 60 giorni a partire dal deposito dell’istanza di vendita (art. 567 c.p.c.)
Nella direzione della celerità del procedimento esecutivo anche altre norme modificate dalla riforma hanno visto dimezzarsi i termini processuali, come quella relativa alla nomina dell’esperto estimatore dell’immobile da parte del Giudice ed alla fissazione dell’udienza per disporre la vendita.
Altrettanto importante risulta essere la modifica apportata all’art. 568 c.p.c. in tema di determinazione del valore dell’immobile, allo scopo di consentire che l’immobile pignorato venga venduto ad un prezzo che sia congruo rispetto al suo valore effettivo.
In precedenza, infatti, la stima dell’immobile avveniva sulla base delle rendite catastali degli immobili e non sulla base dell’effettivo valore economico e di mercato degli immobili pignorati; con la riforma, l’esperto nominato dal Giudice per la stima del bene, di solito un ingegnere o architetto, deve tener conto anche di altri elementi di valutazione, come la riduzione del valore di mercato praticata per l’assenza della garanzia per vizi del bene venduto, lo stato d’uso e di manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonché le eventuali spese condominiali insolute.
Ulteriore novità è la possibilità, per chi abbia presentato offerta d’acquisto dell’immobile posto in vendita, di pagare ratealmente il prezzo offerto, entro un termine non superiore a dodici mesi, in presenza di giustificati motivi; tale previsione dovrebbe incentivare, in futuro, l’acquisto dei beni all’asta, consentendo un più facile accesso a questo tipologia di mercato, che spesso offre interessanti opportunità d’acquisto.
Per finire un cenno alla norma che consente al debitore di evitare che l’immobile di sua proprietà, a seguito del pignoramento, venga posto in vendita, presentando al Giudice dell’esecuzione la cosiddetta istanza di “conversione”, prevista all’art. 495 c.p.c., con il versamento di un quinto del suo debito e la possibilità di completarne l’estinzione con pagamenti rateali.
In questo caso la riforma, tenendo conto anche degli effetti della crisi economica e della particolare situazione di disagio in cui molti soggetti sono venuti a trovarsi a causa della perdita del lavoro, ha introdotto un termine più lungo a favore del debitore, 36 mesi anziché i precedenti 18; ciò potrebbe apparire svantaggioso per il creditore ma, a ben vedere, la possibilità concreta per il debitore di saldare agevolmente il suo debito si traduce, di fatto, in una maggiore utilità anche per il creditore il quale, in tal modo, non dovrà far fronte agli oneri e spese necessari alla vendita forzata del bene.