La successione mortis causa, a seguito cioè del decesso di un congiunto, è un evento che comporta spesso la necessità di risolvere intricate questioni legali, collegate al patrimonio del defunto, di cui, molte volte, gli eredi non sono a conoscenza.
Può accadere, infatti, che, a seguito della morte, emergano situazioni tali da compromettere la sicurezza economica dell’erede, il quale, pertanto, deve valutare con attenzione se accettare o meno, o in che limiti, l’eredità del defunto.
Ciò in quanto la successione ereditaria comporta un trasferimento in capo all’erede del patrimonio del defunto, quindi dei beni materiali, dei diritti ma anche degli obblighi; in pratica, oltre ad acquistare immobili, auto, conti correnti e relativi diritti, l’erede acquista anche i relativi obblighi ed i debiti esistenti al momento della successione.
Ulteriore effetto della successione è quello della confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede, nel senso che, con l’accettazione piena, i beni del defunto andranno a formare con i beni dell’erede un unico patrimonio indistinto.
Che fare, dunque, nei casi in cui sia dubbia la convenienza dell’accettazione? Innanzitutto va detto che il nostro ordinamento, all’art. 480 c.c., prevede un termine di dieci anni dalla morte del soggetto, decorso il quale il diritto di accettare l’eredità si prescrive, dunque non può essere più esercitato; bisogna, tuttavia, tener conto del più breve termine di un anno dall’apertura della successione previsto dalla legge per effettuare la dichiarazione di successione e pagare le imposte di successione.
L’accettazione dell’eredità può essere fatta con atto pubblico o scrittura privata autenticata, ma comportano accettazione dell’eredità anche atti dispositivi del patrimonio del defunto, attraverso i quali l’erede dimostri la volontà di accettare (in tal caso si parla di accettazione “tacita”).
Anche la rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale in cui si è aperta la successione ed inserita poi nel registro delle successioni. La rinunzia comporta che il soggetto rinunziante non ha alcun diritto né obbligo sul patrimonio del defunto, salvo limitati effetti relativi alle donazioni a lui fatte ed ai legati testamentari. Ulteriore effetto della rinunzia è che la parte di colui che rinunzia comporta un accrescimento della quota dei coeredi e di coloro che avrebbero concorso col rinunziante o, comunque, si devolve agli eredi legittimi.
Tra la possibilità di accettare e quella di rinunziare vi è una strada intermedia: l’accettazione con beneficio d’inventario, disciplinata agli artt. 484 ss. c.c.. Il principale effetto giuridico dell’accettazione beneficiata è quello di tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede, con la conseguenza che egli sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari nei limiti del valore dei beni a lui pervenuti, quindi i creditori dell’eredità non potranno aggredire i beni personali dell’erede.
Per questo motivo tale forma di accettazione è automatica, cioè non richiede formalità particolari di dichiarazione, per i minorenni e gli incapaci. Per gli altri soggetti, al contrario, il codice civile prescrive una serie di adempimenti -che saranno trattati nello specifico in un prossimo articolo - da svolgersi entro termini ben precisi, l’inosservanza dei quali comporta conseguenze anche gravi per l’erede, tra cui la decadenza dal beneficio.