Il "chiamato all’eredità", cioè colui che succede, per vincoli di parentela o per testamento, a un soggetto deceduto, si trova nella posizione di dover decidere se accettare o rinunziare all’eredità oppure, come terza possibilità, di accettarla con beneficio di inventario.
Accettazione dell’eredità
Riguardo all’accettazione ricordiamo che il nostro ordinamento, all’art. 480 c.c., prevede un termine di dieci anni dalla morte del soggetto, decorso il quale il diritto di accettare l’eredità si prescrive, dunque non può essere più esercitato; bisogna, tuttavia, tener conto del più breve termine di un anno dall’apertura della successione previsto dalla legge per effettuare la dichiarazione di successione e pagare le imposte di successione.
L’accettazione dell’eredità può essere fatta con atto pubblico o scrittura privata autenticata, ma comportano accettazione dell’eredità anche atti dispositivi del patrimonio del defunto, attraverso i quali l’erede dimostri la volontà di accettare (in tal caso si parla di accettazione tacita).
Rinunzia all’eredità
Anche la rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale in cui si è aperta la successione ed è inserita nel registro delle successioni. La rinunzia comporta che il soggetto rinunziante non ha alcun diritto né obbligo sul patrimonio del defunto, salvo limitati effetti relativi alle donazioni a lui fatte in vita dal de cuius e ai legati testamentari.
Ulteriore effetto della rinunzia è che la parte che rinunzia si accresce ai coeredi e a coloro che avrebbero concorso col rinunziante o, comunque, si devolve agli eredi legittimi. La dichiarazione di rinunzia non deve prevedere alcuna condizione, né essere sottoposta a termini o altre limitazioni, a pena di nullità; non è valida nemmeno la rinunzia espressa in favore di altri eredi, che viene considerata accettazione tacita, dunque produce per il dichiarante l’effetto opposto a quello voluto.
A differenza dell’accettazione di eredità, che non è revocabile, la rinunzia all’eredità lo è, purché la revoca avvenga entro 10 anni dall’apertura della successione e l’eredità, a seguito della rinunzia, nel frattempo non sia stata devoluta ad altri chiamati. La revoca della rinunzia - e la conseguente accettazione - inoltre non devono compromettere gli eventuali diritti dei terzi acquistati sui beni ereditari.
Inventario dei beni
Per il chiamato all’eredità che, al momento dell’apertura della successione, sia nel possesso dei beni ereditari, presupposto per la rinunzia è la redazione dell’inventario dei beni ereditari. Pensiamo al caso del coniuge convivente che voglia rinunziare alla propria parte di eredità, oppure ad altri casi di rinunzia, motivati ad esempio dalla volontà di non accollarsi i debiti del de cuius, pur essendo nel possesso di suoi beni, tra cui rientrano anche i conti correnti e le partecipazioni societarie.
In tutti questi casi, argomentati dall’art. 485 c.c., qualora entro tre mesi dall’apertura della successione, termine prorogabile una sola volta, il chiamato non abbia provveduto alla redazione dell’inventario dei beni, egli non potrà più rinunziare in quanto, in base alla norma, sarà considerato erede "puro e semplice"; ciò significa che egli non potrà più rinunziare, ma neanche accettare con beneficio d’inventario.
Termine di tre mesi
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 36080/2021, relativa a un caso in cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato agli eredi di una persona deceduta un avviso di accertamento per debiti ereditari; gli eredi si erano opposti deducendo di aver rinunziato all’eredità. La Suprema Corte, nel dare ragione all’ente riscossore che aveva eccepito la mancata redazione dell’inventario da parte degli eredi, chiarisce che se il chiamato che si trovi nel possesso di beni ereditari non compia l'inventario nel termine previsto dall'art. 485 c.c., egli non può rinunciare all'eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori del de cuius, dovendo, allo scadere dei termini stabiliti per l'inventario, essere considerato erede puro e semplice.
Non è sufficiente, pertanto, l’atto di rinunzia all’eredità, anche qualora sia stato regolarmente registrato, se prima, nel termine anzidetto, non sia stato redatto l’inventario dei beni ereditari posseduti al momento dell’apertura della successione.