Il nostro ordinamento, all’art. 480 del codice civile, prevede un termine di dieci anni dalla morte del de cuius per accettare l’eredità; decorso tale termine il relativo diritto si prescrive, dunque non può essere più esercitato.
Accettazione espressa o tacita
L’accettazione dell’eredità può essere fatta con atto pubblico o scrittura privata autenticata, che dovranno essere registrati nel registro delle successioni e, se riferiti a beni immobili, annotati nei pubblici registri immobiliari.
Comportano accettazione dell’eredità anche atti dispositivi del patrimonio del defunto, attraverso i quali l’erede dimostri la volontà di accettare: in tal caso si parla di accettazione “tacita”, per significare che il consenso all’accettazione è desumibile dal comportamento univoco dell’erede.
Atti dispositivi del patrimonio
Secondo l’art. 476 c.c, infatti, “l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.
Ad esempio, possono farsi rientrare le disposizioni di pagamento (prelievi, bonifici, etc.), o le donazioni con denaro facente parte del patrimonio ereditario.
Atti conservativi del patrimonio
A differenza degli atti dispositivi, gli atti “conservativi” del patrimonio, cioè quelli finalizzati ad evitare il depauperamento e la distrazione del patrimonio, quindi a mantenerlo invariato ma anche ad incrementarlo, non comportano automaticamente accettazione dell’eredità; essi, infatti, sono espressione di un potere gestorio del chiamato (non ancora erede) all’eredità, nel periodo in cui questa risulta “giacente”, cioè non ancora accettata da alcuno degli eredi.
Tra questi atti possono farsi rientrare, ad esempio, il mantenimento dei contratti di locazione dei beni ereditari e la riscossione dei relativi canoni, la manutenzione ordinaria dei beni stessi ed in generale tutte le attività necessarie ad amministrare il patrimonio ereditario.
Impugnazione delle cartelle esattoriali
Anche il ricorso presentato dai chiamati all'eredità avverso una cartella esattoriale, relativa a debiti del de cuius, può comportare accettazione tacita dell’eredità.
Sull’argomento si è espressa la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23989/2020, in un caso in cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ai chiamati all’eredità di un contribuente deceduto un avviso di accertamento, relativo a debiti verso il fisco del de cuius, avviso che era stato impugnato dai destinatari della notifica.
La Cassazione sul punto
La Corte di Cassazione, in particolare, afferma che, qualora i chiamati all’eredità abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius o si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non si configura un’ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l’eredità (in tal senso anche Cass., sez. 3, 3/08/2000, n. 10197).
Qualora, invece, i chiamati all’eredità impugnino un atto di accertamento emesso nei loro confronti in qualità di eredi dell’originario debitore, senza contestare l’assunzione di tale qualità ma censurando nel merito l’accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria, deve ritenersi che essi abbiano posto in essere un’attività che non è altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, atteso che tale comportamento esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario.
Conclusioni
In questa seconda ipotesi, pertanto si può affermare che essi abbiano accettato tacitamente l'eredità, a differenza del primo caso.
Occorre, pertanto, prestare attenzione al contenuto del ricorso presentato per impugnare avvisi di accertamento tributari, qualora non si intenda rispondere dei debiti ereditari.