In altro articolo ci siamo occupati del sequestro conservativo, uno strumento giuridico attraverso il quale il soggetto che agisce in giudizio per l’accertamento di un proprio diritto di credito verso un altro soggetto, può arginare il rischio che la sua controparte, nelle more della causa, distragga i propri beni, rendendo così inutile l’eventuale sentenza di condanna.
VINCOLO DI INDISPONIBILITA’
L’effetto del sequestro conservativo è, quindi, quello di creare sui beni del debitore un vincolo di indisponibilità, un pignoramento “anticipato”; ciò significa che, se il debitore compirà atti dispositivi, essi saranno inopponibili al creditore sequestrante.
La concessione del sequestro da parte del giudice, tuttavia, non è automatica in quanto è subordinata alla sussistenza di due requisiti, che devono essere provati dal ricorrente.
Tale requisiti sono il fumus boni iuris ed il periculum in mora: con il primo si indica l’apparente fondatezza del diritto del creditore, che dovrà essere accertato nel giudizio di merito ma che, già in fase di ricorso cautelare, dovrà apparire meritevole di tutela; il periculum è, invece, il fondato timore che, nelle more della causa, il debitore sottragga i propri beni alla garanzia del creditore.
PERICULUM IN MORA
Oggi ci soffermiamo in particolare sul secondo requisito, il “timore della perdita dei beni” in corso di causa, in quanto è quello che presenta più difficoltà dal punto di vista probatorio.
Come può fare, in sostanza, il ricorrente a dimostrare che la sua controparte, in attesa della sentenza finale, si privi dei propri beni o abbia intenzione di farlo?
Se, infatti, è più facile ravvisare un comportamento di tal specie se atti dispositivi del patrimonio siano stati già posti in essere (ad esempio il debitore abbia stipulato un preliminare di vendita di beni, poco prima o poco dopo la messa in mora del creditore) molto più problematico è dimostrare il “periculum” se non siano state poste in essere attività volte a distrarre i beni.
CASISTICA
A tal proposito, è intervenuta più volte la Cassazione (Cass. n. 13400/2001), in particolare precisando che costituisce elemento oggettivo per valutare il pericolo nel ritardo, il rapporto di proporzione, quantitativo e qualitativo, tra patrimonio del debitore e presunto ammontare del credito da tutelare; ciò significa, in pratica, che se il credito di colui che agisce è di modesto importo rispetto al valore del patrimonio del debitore ed eventuali atti dispositivi non inficierebbero comunque la garanzia del creditore, il giudice non ravviserà il requisito del “periculum in mora”, dunque non concederà il sequestro dei beni.
Ancora, Cass. n. 4542/1998 ha affermato che con riguardo ad obbligazioni contrattuali, l'inadeguatezza patrimoniale del debitore può giustificare la concessione del sequestro conservativo — integrando il «fondato timore» di perdere la garanzia del credito a norma dell'art. 671 c.p.c. — solo se successiva al sorgere del credito, con la conseguenza che non può aspirare alla misura cautelare il creditore che abbia avuto modo di rendersi conto dell'inadeguatezza del patrimonio del debitore nel momento in cui il credito è sorto.
L’accertamento sulla sufficienza del patrimonio del debitore va, pertanto, compiuto ancora prima di agire per l’accertamento del diritto, per essere sicuri di potersi soddisfare adeguatamente in caso di condanna.
Ulteriore precisazione di Cass. n. 4906/1988 è che il requisito del periculum in mora non può essere affermato in base al mero rifiuto di adempiere, occorrendo che questo s'inserisca in un comportamento dell'obbligato che renda verosimile l'eventualità di un depauperamento del suo patrimonio e fondato il timore del creditore di perdere le garanzie del credito.
In conclusione, il compito di stabilire nei casi concreti se il detto pericolo sussista o no è riservato al giudice del merito, che compirà una valutazione caso per caso, seguendo i principi enunciati.