Inefficacia della compravendita in frode ai creditori

 Quando si acquista un bene, in particolare immobile o comunque di ingente valore, sono molti gli accertamenti da compiere, sia per verificare l’effettiva titolarità in capo a chi vende, sia per assicurarsi che l’acquisto sia sicuro e non riservi spiacevoli sorprese per l’acquirente.

Può accadere, infatti, che lo scopo della vendita nasconda l’intenzione, per il venditore, di spogliarsi dei propri beni al fine di sottrarli ai creditori ed al rischio di pignoramento; si sa, infatti, che i beni sono più facilmente aggredibili da parte dei creditori di quanto non lo sia il denaro, per sua natura “volatile” dunque più difficile da colpire per chi abbia un credito da recuperare.

In questi casi può non essere sufficiente dimostrare la “buona fede” del terzo acquirente, il quale potrebbe comunque essere esposto al rischio di una dichiarazione d’inefficacia della compravendita, a seguito dell’esercizio, da parte del creditore frodato, della cosiddetta azione revocatoria.

L’AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA

Disciplinata agli artt. 2901 – 2904 del codice civile è un’azione giudiziaria con il quale il creditore – leso da atti di alienazione del patrimonio compiuti dal suo debitore – chiede al Tribunale di dichiararne l’inefficacia; la sentenza di accoglimento della domanda avrà come conseguenza quella di consentire al creditore di espropriare i beni alienati dal suo debitore.

I requisiti per poter esperire l’azione revocatoria ordinaria sono innanzitutto il pregiudizio arrecato dal debitore con l’atto dispositivo, la consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio stesso e, infine, in caso di atto a titolo oneroso – tipico della compravendita – che il terzo ne fosse a conoscenza; se, inoltre, l’atto dispositivo è stato posto in essere dal debitore prima del sorgere del credito l’art. 2901 c.c. dispone che il creditore dovrà dimostrare anche la dolosa preordinazione al fine di pregiudicarne il soddisfacimento.

CONSAPEVOLEZZA DELL’ACQUIRENTE

Tornando al caso della vendita del bene posta in essere dopo l’indebitamento da parte del venditore, il requisito della consapevolezza, in capo al venditore, di nuocere ai suoi creditori è nel fatto stesso di aver alienato il bene; colui che agisce in revocatoria, tuttavia, dovrà dimostrare, anche mediante “presunzioni” – cioè indici rivelatori di ciò che deve essere provato – che il terzo acquirente fosse a conoscenza del pregiudizio, arrecato con il proprio acquisto, ai creditori dell’alienante.

Ma in concreto come si può dimostrare al giudice che l’acquirente di un immobile fosse consapevole di nuocere a terzi con il suo acquisto?

Come, cioè, si può provare uno stato psicologico e intellettivo? E come può difendersi l’acquirente citato in giudizio a seguito di azione revocatoria?

Criteri interpretativi sono stati forniti dalla giurisprudenza che ha individuato comportamenti e atti normalmente rivelatori della sussistenza del requisito della conoscenza (“scientia fraudis”) del pregiudizio in capo al terzo acquirente.

CASISTICA

Il primo fra tutti questi indici presuntivi è il rapporto di parentela tra venditore ed acquirente; è facile, in questi casi, presumere che la vendita di beni fatta ad un congiunto abbia lo scopo di impedire al creditore di espropriare il bene e che l’acquirente sia stato messo a conoscenza dal proprio parente dello scopo dell’alienazione.

Altro elemento è la notevole sproporzione del prezzo pagato dall’acquirente rispetto al reale valore del bene venduto; se, infatti, la somma risultante dall’atto di compravendita è di molto inferiore al valore di mercato del bene si può immaginare che l’acquirente fosse consapevole della finalità di distrazione dell’operazione.

Alla stessa conclusione si può giungere se con un unico atto il venditore vende tutti i suoi beni (immobili, mobili di ingente valore etc.) ad uno stesso soggetto, in grado quantomeno di “insospettirsi” circa le reali intenzioni del venditore.

PROVA CONTRARIA

In tutti questi casi – come in generale – l’acquirente può fornire in giudizio la prova “contraria”, dimostrando di non essere  stato, al momento dell’acquisto, affatto consapevole di arrecare pregiudizio ai creditori del suo dante causa; anche in questo caso, stante la difficoltà di provare uno stato d’animo, si dovrà ricorrere a presunzioni o elementi di prova indiretti.

Nel primo degli esempi citati l’acquirente potrà dimostrare di avere avuto necessità di acquistare l’immobile per particolari esigenze indifferibili (lavoro, famiglia o altro); nel secondo esempio l’acquirente potrebbe dimostrare di aver versato al venditore, successivamente all’atto di  compravendita, ulteriori somme, oppure che la sproporzione tra prezzo e valore del bene fosse dovuta alle cattive condizioni del bene ed alla necessità di sostenere  ingenti costi per ristrutturarlo.

Infine, nell’ultimo degli esempi riportati, una prova di assoluta buona fede potrebbe essere fornita dimostrando di essersi rivolti, per l’acquisto, ad un’agenzia immobiliare, dunque di non essere venuti direttamente in contatto con il venditore se non al momento della stipula del rogito.

VERIFICHE PATRIMONIALI

Occorre, dunque, molta cautela negli acquisti, soprattutto in presenza di clamorosi “affari”, che potrebbero far incappare l’acquirente in annose vicende giudiziarie; in questi casi la consultazione preventiva di un notaio o di un consulente legale in grado di procedere a verifiche patrimoniali ed ipotecarie sul venditore si rivela assai utile.

pubblicato il 05/11/2017

A cura di: Daniela D'Agostino

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