Cessazione dell’impresa: termine per la dichiarazione di fallimento

L’impresa in stato d’insolvenza, quando non è in grado di far fronte al pagamento dei propri debiti – anche ricorrendo alla L. 3/2012 sul sovraindebitamento (si legga articolo in proposito) -  è assoggettabile a procedimento fallimentare, disciplinato dal R.D. 16 marzo 1942 n. 267 e successive modifiche.

Il fallimento dell’impresa viene dichiarato dal Tribunale, sezione fallimentare, del luogo dove l’impresa ha la sede principale, su presentazione di ricorso da parte di uno o più creditori dell’impresa insolvente, oppure da parte dello stesso imprenditore o, nei casi a rilevanza penale elencati all’art. 7 l.f., dal Pubblico Ministero.

Se dall’istruttoria prefallimentare il giudice rileva la sussistenza dei requisiti di legge il Tribunale dichiara il fallimento dell’impresa con sentenza che viene annotata nel Registro Imprese; in caso contrario la procedura si chiude con decreto che respinge il ricorso.

PRESUPPOSTI PER IL FALLIMENTO

Quanto ai presupposti per il fallimento, esaminati in altra sede, ricordiamo brevemente che la legge fallimentare prevede delle “soglie di fallibilità”, il cui onere della prova è a carico dell’impresa insolvente, al di sotto delle quali il fallimento non viene dichiarato: occorre, a tal fine, dimostrare di

a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;

b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila”.

IMPRESE CESSATE

La dichiarazione di fallimento può riguardare anche le imprese che abbiano cessato la loro attività a seguito di liquidazione e che siano state cancellate dal Registro Imprese; a riguardo l’art. 10 l.f. prevede che gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal Registro imprese se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.

La norma da una parte tutela l'imprenditore, stabilendo un limite temporale per la dichiarazione di fallimento, dall’altro permette al creditore di potersi avvalere della procedura fallimentare anche quando la società ha cessato la sua attività ed è stata cancellata.

Può darsi, infatti, che il creditore insoddisfatto venga a conoscenza della cessazione dell’impresa solo successivamente, oppure che non abbia potuto soddisfarsi durante la liquidazione dell’attività; in tal modo egli potrà far valere le proprie ragioni di credito con l’ammissione al passivo fallimentare.

CANCELLAZIONE DAL REGISTRO IMPRESE

La norma in esame assume maggiore rilevanza nel caso in cui, anche dopo la cancellazione dell’impresa, vi siano beni di proprietà della stessa, la cui liquidazione in sede fallimentare possa permettere la soddisfazione dei creditori, soprattutto nel caso di ditte individuali o nel caso in cui a fallire sia una società con soci illimitatamente responsabili, anch’essi assoggettabili al fallimento.

In ordine al termine entro il quale può essere presentata l’istanza di fallimento, la norma citata di cui all’art. 10 l.f. fa riferimento alla cancellazione del Registro delle Imprese, disponendo altresì che in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine del primo comma. 

EFFETTIVA CESSAZIONE DELL’ATTIVITA’

In ordine a quest’ultimo aspetto, quello cioè del termine a partire dal quale l’attività imprenditoriale si può considerare effettivamente cessata, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10319 del 27 aprile 2018, ha affermato che, ai fini della decorrenza del termine annuale dalla cessazione dell'attività, la dismissione della qualità di imprenditore deve intendersi correlata al mancato compimento, nel periodo di riferimento, di operazioni intrinsecamente corrispondenti a quelle poste normalmente in essere nell'esercizio dell'impresa.

Nel caso specifico, la Corte territoriale – con accertamento ritenuto insindacabile dalla Cassazione – aveva ritenuto che  l'affitto dell'azienda, da parte dell’imprenditore successivamente cancellatosi dal Registro Imprese, non comportava perdita della qualità di imprenditore, attesa la sua fisiologica temporaneità; allo stesso modo la costituzione in giudizio quale legale rappresentante dell’impresa, è ulteriore indice di prosecuzione dell’attività.

pubblicato il 25/07/2018

A cura di: Daniela D'Agostino

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