La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10216/2021, torna ad occuparsi dei presupposti per l’accertamento da parte del Tribunale, in sede pre-fallimentare, delle condizioni necessarie per la dichiarazione di fallimento.
Minimo indebitamento
Prima di considerare il caso esaminato dalla Suprema Corte, ricordiamo che la legge fallimentare , di cui al R.D. 16 marzo 1942 n. 267 e successive modifiche , prevede all’art. 15 ultimo comma il requisito del cosiddetto “minimo indebitamento”, costituito dalla soglia minima di € 30.000 per i debiti scaduti e non pagati dall’impresa insolvente; al di sotto di tale importo il Giudice fallimentare non può dichiarare il fallimento.
Va detto che tale requisito, come gli altri di cui all’art.1, non è stato modificato dalla recente riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al D.lgs n. 14 del 12 gennaio 2019, il quale all’art. 49 comma 5 conferma il limite suddetto, impedendo la dichiarazione di liquidazione giudiziale (espressione che ha sostituito il termine “fallimento”) in caso di debiti di ammontare inferiore.
Il caso
Veniamo ora al caso su cui si è pronunciata la Cassazione, adita con ricorso da parte di un imprenditore, che si era opposto alla dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale, eccependo che dai bilanci depositati non emergeva il dato contabile del superamento di detto importo minimo
La Cassazione, accogliendo il ricorso dell’imprenditore, rammenta che, in base ad orientamento consolidato della stessa giurisprudenza, per accertare il superamento della soglia ostativa alla dichiarazione di fallimento di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., si deve avere riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare (Cass., 14 novembre 2017, n. 26926; Cass., 19 luglio 2016, n. 14727) e accertati alla data in cui il tribunale decide sull’istanza di fallimento (Cass., 27 maggio 2015, n. 10952).
Scopo della norma
La norma, espressione di un intento deflattivo, è stata dettata dal legislatore al fine di esentare dal fallimento le crisi d’impresa di modeste dimensioni oggettive: l’esigenza che alla data del fallimento consti un’esposizione debitoria di almeno € 30.000 si configura, infatti, alla stregua di una condizione per la dichiarazione del fallimento e non di un fatto impeditivo, sicché il mancato superamento di tale limite non è onere probatorio a carico del fallendo, a mente dell’art. 2697 c.c., comma 2, ma deve essere riscontrato d’ufficio dal tribunale sulla base del complessivo contenuto degli atti dell’istruttoria prefallimentare.
Certezza dei debiti scaduti
Ne consegue che ogni eventuale incertezza in merito al ricorrere di questa condizione, non risolvibile sulla base dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, impedisce la declaratoria di fallimento (in tal senso anche Cass., 25 giugno 2018, n. 16683).
Secondo la Cassazione, sulla base di tali principi, la corte territoriale, adita in sede d’appello dal medesimo imprenditore, aveva errato in quanto non aveva tenuto conto del fatto che i debiti risultanti da bilancio, superiore alla soglia minima di indebitamento, erano iscritti come poste esigibili entro il dodici mesi successivi; poiché il debito nei confronti aveva proposto istanza di fallimento ammontava a poco più di € 3.500, doveva dunque escludersi che nel corso dell’istruttoria prefallimentare fosse emersa la prova dell’esistenza di debiti scaduti e non pagati dalla società per un ammontare superiore alla soglia minima.