L’art. 67 della legge fallimentare disciplina la revocabilità degli atti a titolo oneroso, dei pegni e delle ipoteche, nonché dei pagamenti effettuati dall’impresa prima del fallimento, stabilendo un doppio termine entro il quale il curatore può esercitare l’azione.
Doppio termine
La distinzione riguarda il tipo di pagamento: se si tratta di pagamenti “anomali”, rispetto al prezzo o rispetto alla modalità di estinzione del debito, il termine è di un anno dalla dichiarazione di fallimento, mentre in caso di pagamenti normali o abituali il termine è di sei mesi.
Per questi ultimi, inoltre, è previsto che, in corso di causa, il curatore debba provare che, al momento di ricevere il pagamento, il creditore dell’impresa fosse a conoscenza dello stato di insolvenza dell’impresa; in mancanza di tale dimostrazione, la domanda di restituzione verrà rigettata.
Casi di esclusione
L’art. 67, inoltre, al comma 3 prevede alcuni casi di esclusione:
- i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso;
- le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
- le vendite ed i preliminari di vendita conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;
- gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa;
- gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo e dell'amministrazione controllata;
- i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
- i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.
Pagamenti effettuati nei termini d’uso
Riguardo al punto 1 (lettera a) dell’art. 67 comma 3, relativo ai pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso), la Corte di Cassazione ha in diverse occasioni precisato il significato dell’espressione “termini d’uso”.
In particolare, con l’ordinanza n. 19373 del 7 luglio 2021, la Suprema Corte ha affermato che l’espressione "termini d’uso", utilizzata per individuare i pagamenti di beni e servizi non soggetti all’azione revocatoria, non si riferisce alle forniture che costituiscono oggetto del pagamento, ma ai pagamenti stessi, i quali risultano quindi opponibili alla massa dei creditori, anche se eseguiti ed accettati difformemente dalle previsioni contrattuali, purché siano stati effettuati secondo tempi e modalità corrispondenti a quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra le parti nel suo concreto svolgimento.
Prassi accettata dalle parti
Nello specifico, non sono revocabili quei pagamenti che, pur essendo avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, tanto da non poter più essere considerati pagamenti eseguiti "in ritardo", ossia inesatti pagamenti, essendo divenuti per prassi esatti adempimenti (in tal senso anche Cass., Sez. I, 7/12/2020, n. 27939).
In definitiva, il pagamento non è revocabile tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, tale da introdurre, come nuova regola tra le parti, il pagamento in termini diversi e più lunghi rispetto a quelli contrattualmente stabiliti.