In caso di gravi inadempienze da parte dell’amministratore di condominio il nostro ordinamento prevede la possibilità di revocarlo, con delibera dell’assemblea condominiale, oppure su istanza del singolo condomino tramite ricorso all’autorità giudiziaria.
L’art. 1129 del codice civile, infatti, dispone che la revoca dell'amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall'assemblea, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio; se l’assemblea, al contrario, non intende rimuovere l’amministratore inadempiente, oppure vi sono impedimenti nel giungere alla decisione (ad esempio per mancato raggiungimento del quorum costitutivo o deliberativo) ciascun condomino può prendere l’iniziativa, purché ricorrano i casi elencati dalla legge.
GRAVI INADEMPIENZE DELL’AMMINISTRATORE
Si tratta di inadempimenti di una certa rilevanza, come il mancato rendimento del conto di gestione o di gravi irregolarità, quali, ad esempio, l'omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto annuale o il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore.
Altre gravi inadempienze che legittimano il ricorso al tribunale per l’istanza di revoca sono la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell'assemblea; la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente da intestare e vincolare alle spese condominiali, così come la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini.
Anche la mancata iniziativa giudiziaria per il recupero delle quote condominiali da parte dei condomini morosi è considerata grave irregolarità, come pure l'inottemperanza agli obblighi di tenuta dei registri condominiali, dei verbali assembleari e dei registri contabili ed all’obbligo di fornire al condomino richiedente la documentazione relativa alle spese ed oneri condominiali.
PROROGA DEI POTERI
In tutte queste ipotesi, come nel caso in cui la carica sia cessata per decorso del termine ed a seguito della nomina del nuovo amministratore, la regola generale è che l’amministratore cessato o revocato eserciti le funzioni di ordinaria amministrazione fino all’insediamento del nuovo organo.
L’attività svolta in regime di proroga deve, pertanto, essere remunerata secondo i parametri convenuti dall’amministratore con l’assemblea condominiale ed egli ha diritto al proprio compenso fino al giorno dell’effettivo passaggio di consegne al nuovo amministratore.
Tale regola, tuttavia, può essere derogata da diversa volontà espressa dall’assemblea condominiale che abbia revocato l’amministratore, decidendo al contempo che egli cessi l’esercizio delle proprie funzioni prima della nomina del nuovo.
CESSAZIONE IMMEDIATA
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12120 del 17 maggio 2018, decidendo il ricorso presentato da un amministratore di condominio, che chiedeva la riforma della sentenza d’appello che lo aveva condannato a restituire al condominio le somme prelevate dal conto corrente condominiale a titolo di compenso per l’attività svolta dalla data della revoca alla data della presa in carico da parte del nuovo amministratore.
Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte afferma che la "perpetuatio" di poteri in capo all'amministratore di condominio uscente, dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all'art. 1129 c.c. o per dimissioni, fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta "perpetuatio" all'interesse ed alla volontà dei condomini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell'assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell'amministratore cessato dall'incarico.
Da tale principio deriva che la volontà dell’assemblea di cessazione immediata di poteri comporta, come conseguenza, l’inesigibilità, da parte dell’amministratore cessato, di compensi ulteriori, pur se egli abbia – anche in buona fede, ritenendosi obbligato in base alla legge – posto in esseri atti di gestione nell’interesse del condominio.