Mentre è in corso la “rottamazione-ter” delle cartelle esattoriali consideriamo la possibilità di impugnarle dinanzi all’autorità giudiziaria per far valere possibili vizi formali o sostanziali.
Tra i motivi di impugnazione è frequente l’eccezione di prescrizione del debito del contribuente, cioè la contestazione dell’esigibilità delle somme iscritte a ruolo per il decorso del termine previsto dalla legge, entro il quale l’ente creditore può richiedere il pagamento degli importi.
TERMINE DI PRESCRIZIONE
Generalmente, per i tributi verso lo Stato e gli enti locali e per i debiti tributari il termine di prescrizione è di 5 anni; ciò significa che entro tale termine il soggetto creditore deve notificare al debitore l’avviso di accertamento delle somme da pagare e, in caso di mancato pagamento, l’iscrizione a ruolo dei tributi con l’emissione della cartella esattoriale.
Il mancato invio dell’avviso di accertamento o della cartella esattoriale nel termine di 5 anni dalla data di esigibilità del credito comporta l’annullamento del debito, da chiedere in sede giudiziaria con l’impugnazione della cartella o del ruolo emesso dall’ente riscossore, ex Equitalia, oggi Agenzia delle entrate e riscossione.
PRODUZIONE IN GIUDIZIO DELLE CARTELLE
Analogamente, la mancata esibizione in giudizio, da parte dell’ente impositore, della cartella esattoriale integrale, completa di tutte le pagine e della relata di notifica al debitore, determina l’annullamento dei tributi iscritti a ruolo.
È, questo, un principio più volte affermato dalla giurisprudenza di merito tributaria, che conferma un indirizzo già espresso in passato dalla Corte di Cassazione.
In particolare, già nel 2013, la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 18252/2013, affermava che non è sufficiente, per il Concessionario, produrre l’avviso di ricevimento delle raccomandata spedita al debitore, dovendo invece essere documentato l’invio della cartella esattoriale oggetto di impugnazione, in quanto la relata di notifica, come l’avviso di ricevimento “ fa fede esclusivamente delle circostanze che ivi sono attestate, tra le quali non figura certamente la certificazione circa l'integrità dell'atto che è contenuto nel plico e men che meno la certificazione della corrispondenza tra l'originale dell'atto e la copia notificata”.
Il principio è stato seguito dalle commissioni tributarie investite dei ricorsi, da ultimo dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, con la sentenza n. 143/02/2018 del 24 luglio 2018, la quale chiarisce che “permane in capo ad Equitalia l’obbligo di conservare gli atti relativi alle pretese esattoriali tra i quali assume rilievo principale la cartella di pagamento con conseguente obbligo di ostensione alla richiesta del contribuente che solo in tal modo … potrà esercitare gli strumenti di tutela messi a disposizione dall’ordinamento”.
LA GIURISPRUDENZA SUL PUNTO
Nel caso specifico il contribuente aveva appreso del debito col Fisco solo dopo essersi recato allo sportello di Equitalia, non avendo ricevuto le cartelle esattoriali; il concessionario, tuttavia, affermava di non avere più alcuna cartella poiché per legge il termine di archiviazione è di cinque anni, ex art. 26 del DPR n. 602/73.
Secondo i giudici, tuttavia, “costituisce precipuo interesse dell’esattore, nonché preciso onere improntato alla diligenza, conservare, in caso di mancata riscossione dei tributi nel quinquennio e in occasione di rapporti giuridici ancora aperti e non definiti, la copia della cartella oltre i cinque anni, per tutto il periodo in cui il credito portato ad esecuzione non sia stato recuperato…”.
In mancanza di esibizione delle cartelle esattoriali, pertanto, il giudice potrà annullare l’accertamento ed il tributo richiesto dall’ente riscossore.