Il dovere di coabitazione, per i coniugi, nasce dal disposto del codice civile che, all’art. 143, nel disciplinare i diritti e doveri dei coniugi, stabilisce, tra l’altro, che dal matrimonio derivi l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia, nonché alla coabitazione.
La casa “coniugale” o “familiare” è quella che i coniugi decidono di fissare come residenza comune; ciò, tuttavia, non impedisce la possibilità, per periodi determinati legati ad esigenze lavorative o di altra natura, di vivere in abitazioni diverse, anche stabilendo diverse residenze.
Accordo diverso tra coniugi
È necessario, tuttavia, per non incorrere nella violazione del dovere di coabitazione e nel reato di abbandono del tetto coniugale, che vi sia l’accordo di entrambi i coniugi; in mancanza di accordo, qualora vi siano esigenze effettive come nel caso di motivi di lavoro, si può ricorrere in tribunale per la definizione delle nuove regole.
In tutti gli altri casi l’allontanamento dalla casa coniugale, per un periodo prolungato o comunque tale da potersi considerare come volontà di abitare altrove, integra la violazione del dovere anzidetto ed ha, come principale conseguenza, quella di addebito della separazione al coniuge che si è allontanato.
Motivo di addebito
Tale principio è ampiamente consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza, come ha ribadito la Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 1785/2021, in un caso di addebito, da parte del giudice di primo grado, della separazione alla moglie, che si era allontanata dalla casa coniugale; la ricorrente, dal canto suo, riteneva che non fosse stato provato, dal coniuge che aveva chiesto l’addebito, il collegamento tra la violazione imputata e l'intollerabilità della convivenza, gravando invece sull'altra parte la prova della giusta causa dell’allontanamento.
La Suprema Corte, nel confermare la decisione impugnata, afferma che il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sè sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto.
Allontanamento e intollerabilità della convivenza
Ciò significa che la parte che promuove domanda di addebito deve provare l'allontanamento dal domicilio coniugale dell'altra che, a sua volta, per evitare l'addebito, deve provare che l'allontanamento sia conseguenza della già intervenuta intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Per la pronuncia di addebito della separazione, prosegue la Cassazione, è infatti necessaria non solo la violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio, previsti dall’art. 143 c.p.c., ma occorre anche che via sia un rapporto di stretta causalità tra tale violazione e l’intollerabilità della convivenza.
Onere della prova
Il principio vigente, pertanto, è quello secondo cui l'allontanamento dalla casa coniugale, se non assistito da una giusta causa, costituisce violazione dell'obbligo di convivenza e in tal caso il richiedente l’addebito non è tenuto neppure a provare il rapporto di causalità tra la violazione e l'intollerabilità della convivenza; è invece l'altra parte a dover provare la giusta causa dell'allontanamento, dovuta ad un comportamento negativo dell'altro coniuge, oppure ad un accordo tra i coniugi destinato a dar vita ad una separazione di fatto, in attesa di successiva formalizzazione.