Una delle regole fondamentali nella contrattazione tra le parti è quella che impone di comportarsi secondo correttezza e buona fede reciproca, evitando comportamenti volti ad eludere aspetti fondamentali del contratto, o a porre in essere condotte scorrette.
Interpretazione secondo buona fede
La regola della buona fede è, del resto, imposta dalla legge anche relativamente all’interpretazione della volontà delle parti, tanto che l’art. 1366 del codice civile prevede espressamente che il contratto “debba essere interpretato secondo buona fede”.
A chiarire il significato di questa norma è intervenuta di recente la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.15707 del 4 giugno 2021, in un caso relativo ad una domanda giudiziale di risoluzione di un contratto di compravendita di area edificabile da parte di un’impresa costruttrice, promissaria acquirente.
Preliminare di compravendita di area edificabile
Quest’ultima aveva chiesto al Tribunale di accertare l’inadempimento del promissario venditore dell’area, che, in violazione dell’obbligo buona fede, aveva taciuto, nella stesura del contratto preliminare, la circostanza che non tutta l’area oggetto di compravendita fosse edificabile ma solo un certo numero di metri cubi.
Il Tribunale aveva rigettato la domanda del promissario acquirente, con decisione confermata dalla Corte d’appello.
La Corte di Cassazione, nel ribaltare le sentenze dei giudici di merito, enuncia in primo luogo i principi in materia di interpretazione dei contratti, ricordando che in tema di interpretazione del contratto, il principio "in claris non fit interpretatio" rende superfluo qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale quando la comune intenzione dei contraenti sia chiara: tale principio, tuttavia, non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale, pur intrinsecamente chiaro, non risulti coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti.
Art. 1366 c.c.
In tal caso, l’elemento letterale va integrato con gli altri criteri di interpretazione, tra cui buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta.
La Suprema Corte precisa, in proposito, che l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c., quale criterio d’interpretazione del contratto, si specifica in particolare nel significato di lealtà, e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte.
Nel caso specifico sottoposto all’esame della Corte, secondo il principio di buona fede contrattuale, qualora il contratto abbia ad oggetto un’area edificabile, si presume che la stessa venga trasferita con la disponibilità dell’intera cubatura risultante dall’applicazione degli indici di fabbricazione dettati dagli strumenti urbanistici locali, salvo che le parti non si siano diversamente accordate.
L’interpretazione secondo buona fede doveva, cioè, muovere dall’affidamento dell’acquirente in ordine alla utilizzabilità della cubatura risultante all’indice di fabbricabilità del terreno previsto dal Piano Regolatore Generale.