La base dei due diversi tipi di responsabilità civile sono definite agli artt. 1218 e 2043 c.c.
Il primo stabilisce che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” mentre il secondo sancisce che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
L'esempio classico di responsabilità contrattuale è il mancato pagamento dei canoni di un mutuo mentre di quello extracontrattuale un sinistro stradale.
La distinzione in questione non è di semplice teoria, ogni evento riconducibile ad un tipo di responsabilità, piuttosto che ad un altro, presenta infatti determinate caratteristiche distintive, sebbene vi siano norme comuni come l'articolo 2056 c.c. che, per quanto riguarda la determinazione del risarcimento, richiama i principi stabiliti in materia di responsabilità contrattuale.
Una delle differenze maggiori, ad esempio, riguarda l'onere probatorio.
L'onere della prova e la valutazione del danno nella responsabilità contrattuale
L'art. 1218 c.c. stabilisce una presunzione di colpa la quale viene superata solo ove il debitore dimostri che l'inadempimento si è verificato per una causa a lui non imputabile tenendo l'ordinaria diligenza.
In sostanza si richiede al debitore di dimostrare l'assenza di colpa mentre al creditore solamente la prova dell'esistenza dell'obbligazione e dell'inadempimento, cioè il solo elemento oggettivo. In questo senso ecco che la colpa costituisce lo strumento di valutazione della condotta dell’obbligato, il criterio di imputazione, ma non di collegamento, della responsabilità.
Si deve tuttavia specificare che ai fini della sussistenza di un eventuale diritto al risarcimento del danno è sempre comunque necessario dimostrare il relativo nesso di causalità.
Salvo che l’inadempimento o il ritardo abbiano natura dolosa, ex art. 1225 c.c. sono risarcibili solo i danni che si potevano prevedere nel momento in cui si è stipulato il contratto. Il risarcimento deve comprendere sia il lucro cessante che il danno emergente, ossia i pregiudizi subiti dal danneggiato e il suo mancato guadagno, quando siano conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento.
L'onere della prova e la valutazione del danno nella responsabilità extracontrattuale
Per ottenere il risarcimento, il soggetto danneggiato deve provare tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito, compresi la colpa o l’eventuale dolo del danneggiato, la perdita subita ed il nesso causale tra la condotta dell’autore dell’illecito e il danno patito. Questo significa che l'onere della prova, in ambito extracontrattuale, risulta sempre molto più gravoso rispetto alla responsabilità contrattuale, ove al creditore risulterà sufficiente la dimostrazione del fatto costitutivo (ad esempio l'esibizione del contratto fonte dell'obbligazione che si intende soddisfare.
Il danno deve infine essere non giustificabile. Ciò sussiste in presenza di talune circostanze chiamate “cause di esclusione dell’antigiuridicità” come la legittima difesa o lo stato di necessità, che, alle condizioni previste dalla legge, escludono la responsabilità di chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendersi o di salvarsi da un pericolo.
Come si concretizza la responsabilità extracontrattuale?
Per avere un quadro generale completo e al fine di esaminare nello specifico gli elementi costitutivi di tale responsabilità risulta agevole suddividere l'articolo sulla responsabilità aquiliana in tante parti quante sono le parole chiave della norma stessa.
Per “qualunque fatto” si intende ogni comportamento umano, anche di natura omissiva in modo atipico, in ciò concretizzando una enorme differenza rispetto ad esempio alla responsabilità penale, dove i fatti rilevanti sono tipizzati dalla singola norma.
Il fatto e l'evento che ne consegue deve poi essere riconducibile al suo autore in quanto:
- ha agito con la coscienza e volontà di cagionare il danno, in questo caso si parla di dolo;
- ha violato un dovere di diligenza, di perizia o prudenza con ciò, però, cagionando un danno non intenzionale.
Come anticipato tra il fatto e il danno deve intercorrere un rapporto di causa ed effetto (nesso di causalità) il quale esiste quando sussiste la ragionevole probabilità che quel determinato fatto abbia prodotto quel determinato danno (il più probabile che non).
Il danno deve infine qualificarsi come ingiusto, ovvero lesivo di un interesse giuridicamente protetto, come ad esempio il diritto di proprietà.