Partendo dal presupposto per cui non sussiste una precisa definizione dei concetti di onore e decoro in narrativa, la giurisprudenza maggioritaria li ha identificati nel senso che la nozione di:
- onore attiene alle qualità che concorrono a determinare il valore di un determinato individuo (rettitudine, la probità e la lealtà);
- decoro si riferisce invece al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque degno ( dignità fisica, sociale ed intellettuale).
Entrambi possono essere offesi non solo da frasi direttamente e immediatamente ingiuriose, sanzionate dall'art. 594 c.p., ma altresì da espressioni che, per la loro volgarità, colpiscono l’individuo nel sentimento della propria dignità, anche se trascendono dalla mera ingiuria.
La manifestazione ingiuriosa o diffamatoria del pensiero può esplicarsi nei modi più diversi come, ad esempio, in maniera verbale, ovvero mediante l’uso della parola, con scritti, immagini o disegni che siano in grado di esprimere quello che l’offensore avrebbe voluto dire al destinatario.
Nell’ambito dei diritti della personalità umana, il diritto all’immagine, al nome, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione.
Si tratta quindi di diritti omogenei, essendo unico il bene protetto (Cass. n. 6507/2001).
I presupposti del legittimo esercizio del diritto di cronaca
I presupposti per il legittimo esercizio del diritto di critica e di cronaca sono i seguenti:
- la “pertinenza” ossia l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto ravvisabile anche qualora non si tratti di interesse per i cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali si indirizza la pubblicazione di stampa;
- la “continenza” cioè la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, l’informazione non deve assumere contenuto lesivo dell’immagine e dunque non deve eccedere rispetto allo scopo informativo da conseguire;
- la “verità” della notizia, in altre parole la corrispondenza tra la narrazione e i fatti realmente accaduti, la quale tollera solo inesattezze irrilevanti, riferite a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo.
È sufficiente che anche uno di questi requisiti manchi perché la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di cronaca invocata dai giornalisti non operi e quindi il soggetto possa incorrere in responsabilità civile o sanzioni penali.
In cosa si concretizza il danno da diffamazione?
Accertata la natura diffamatoria delle notizie per mancanza di uno dei requisiti sopra indicati, alla parte lesa deve essere riconosciuto il risarcimento dei danni non patrimoniali nella “forma della sofferenza soggettiva causata dall’ingiusta lesione del diritto inviolabile inerente alla dignità, immagine e reputazione della persona ex artt. 2 e 3 Cost.” (Cass. n. 26975/2008).
Il danno è pertanto ravvisabile – e come tale deve essere risarcito – nella diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali quella stessa persona abbia ad interagire.
Ai fini della liquidazione del risarcimento del danno, occorre valutare, sulla base dei principi ormai consolidati in materia (si veda Cass. S.U. n. 26972/2008) ed in applicazione di un legittimo procedimento presuntivo, la portata dell’obiettivo pregiudizio alla reputazione, personale e professionale, tenendo conto anche dell’autorevolezza, notorietà e diffusione dell’organo di informazione su cui è apparsa la falsa notizia.
Come si liquida il danno?
Il risarcimento del danno può, dunque, assumere le forme della:
- liquidazione di un importo;
- pubblicazione della sentenza o comunque di un articolo in cui si smentisce quanto precedentemente sostenuto.
Essendo la liquidazione del danno particolarmente difficoltosa nella sua quantificazione, lo stesso viene spesso determinato dal Giudice in via equitativa su un livello crescente di intensità della lesione arrecata.
In applicazione di detti criteri orientativi, il danno è pertanto collegato ad esempio all’oggettiva portata offensiva della notizia che è stata diffusa, alle ricadute negative sulla reputazione nell’ambito privato, professionale e sociale nonché al grado di disagio e sofferenza che inevitabilmente ne è conseguito per la carica ricoperta all’interno della società ma anche al ruolo e alla funzione di risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie e tutta un altra serie di parametri.
Sulla scorta di tali parametri è possibile stimare un danno in una forbice tra i 1.000,00 e i 20.000 € se di lieve e modesta entità sino ad oltre 50.000,00 € per i casi più gravi.