Il danno risarcibile per errore nella somministrazione di terapia

operatore medico a braccia conserte

La responsabilità medica in generale

Con il termine responsabilità medica ci si riferisce a tutte quelle situazioni patologiche in cui un professionista, un operatore sanitario o un'azienda ospedaliera, commettendo errori o omissioni, consistenti nell'inosservanza delle regole generali di diligenza o delle specifiche regole di condotta nel settore medico, causano danni ad un paziente.

La operazioni mediche coprono, in generale, un terreno estremamente vasto, poiché includono:

  • interventi mirati a curare persone malate;
  • alleviare le sofferenze di un degente con malattie incurabili, con cure palliative;
  • azioni preventive destinate a evitare l'insorgenza di malattie.

Quando gli esiti non corrispondono a quelli attesi, per colpa o dolo, può emergere responsabilità derivante da errori diagnostici, terapeutici o per mancata vigilanza, con conseguente responsabilità penale o civile nel caso di peggioramento della condizione del degente o, in alcuni casi, della sua morte.

Il caso esaminato

Nel caso, una persona è stata colpita da un infarto miocardico, cadendo a terra e battendo la testa. Trasportata d'urgenza in ospedale, questa è stata trattata con la somministrazione di farmaci anticoagulanti e antiaggreganti. A seguito delle cure che hanno risolto la problematica legata all'arresto cardiaco, però, il malato ha sostenuto di aver riportato una significativa invalidità permanente, derivante dal mancato esame del trauma cranico.

A sostegno di questa tesi, la difesa ha rilevato che, sebbene l'uso della terapia anticoagulante fosse adeguato per contrastare gli effetti dell'infarto, prima di somministrare anche l'antiaggregante, i medici avrebbero dovuto verificare con una TAC la presenza di un trauma cranico, poiché la terapia antiaggregante sarebbe controindicata in tali circostanze.

Per tale motivo, lo stesso ha intentato un'azione legale contro l'Azienda Ospedaliera che ha resistito in ogni grado di giudizio.

Come può essere quantificato il danno differenziale?

La questione in esame riguarda non tanto una responsabilità medica “totale” ma “differenziale”, la quale si realizza quando un paziente già affetto da una compromissione fisica subisce un ulteriore peggioramento a causa di un intervento medico eseguito in modo non corretto.

In questa ipotesi, si deve stabilire il grado di invalidità permanente risultante e sottrarre la parte di danno che si sarebbe comunque verificata anche in caso di corretta esecuzione dell'operazione.

Il Tribunale in primo grado ha accolto la domanda del paziente, condannando l'Azienda Ospedaliera a rifondere la somma di circa 70 mila euro. Tale importo è stato determinato applicando le note tabelle di risarcimento del danno biologico con grado di invalidità permanente complessiva al 50%, di cui, però, solo il 20% imputabile all'errore medico.

Su richiesta dell'attore, la sentenza è stata poi riformata in Corte di Appello, la quale ha aumentato l'importo del risarcimento dovuto a 215 mila euro, alla luce del fatto che il Tribunale non aveva considerato anche l'inabilità temporanea e la differenza tra l'invalidità complessiva e quella che sarebbe residuata senza l'errore medico.

Come si stabilisce il risarcimento del danno differenziale secondo la Suprema Corte?

Il caso dopo i primi due gradi di giudizio è stato appellato alla Corte di Cassazione, la quale con l'ord., 30 luglio 2024, n. 21261, annullando la sentenza della Corte d'Appello, ha ribadito che la liquidazione del danno biologico differenziale deve basarsi sui principi della causalità giuridica, essendo sempre essenziale accertare il nesso di causalità tra la condizione preesistente del paziente e il danno subito a seguito dell’intervento medico.

In sostanza, se vi è una menomazione non imputabile all’errore medico che coesiste con una menomazione riconducibile a tale sbaglio, il risarcimento del danno differenziale è riconosciuto solo se si dimostra, tramite un giudizio controfattuale, che la menomazione preesistente ha aggravato i postumi derivanti dall’operato della struttura sanitaria. Se tali conseguenze risultano simili, sia per la vittima effettiva sia per una vittima ipoteticamente sana prima dell'incidente, si deve concludere che non esiste alcun nesso causale tra le condizioni preesistenti e i postumi. Nel caso di specie, il giudizio controfattuale non era stato dimostrato e per tale motivo la Suprema Corte ha annullato le precedenti statuizioni.

pubblicato il 30/08/2024

A cura di: Luca Giovacchini

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