Sta per entrare in vigore, a partire dal 16 maggio 2022, il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, di cui al Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, destinato a sostituire la legge fallimentare di cui al R.D. 16 marzo 1942 n. 267.
Liquidazione giudiziale
Molte le novità introdotte dal recente provvedimento, incentrate soprattutto sul sistema degli strumenti di composizione negoziata della crisi e sulle procedure di ristrutturazione ed esdebitazione, cioè su strumenti finalizzati a evitare la "liquidazione giudiziale" – termine che sostituisce la parola "fallimento" - dell’impresa in crisi. Resta comunque la competenza per materia della sezione fallimentare del Tribunale, che avrà il compito di controllare e omologare i provvedimenti degli organi che interverranno nelle diverse fasi di crisi dell’impresa, nonché dichiarare la liquidazione giudiziale nel caso in cui l’insolvenza sia irreversibile.
In altre occasioni abbiamo visto che la legge fallimentare affida al Giudice il compito di valutare la presenza dei parametri soggettivi e oggettivi di fallibilità, specificati rispettivamente negli artt. 1 e 15 u.c. legge fall.; in particolare, l’impresa insolvente, della quale sia stata richiesta la dichiarazione di fallimento da parte dei soggetti interessati – solitamente i creditori insoddisfatti –, potrà partecipare alla fase cosiddetta "pre-fallimentare" dinanzi al Tribunale adito dal ricorrente, dimostrando di non avere i requisiti richiesti dalla legge per essere sottoposto al fallimento.
Requisiti di cui alla legge fallimentare
Ricordiamo in cosa consistono detti requisiti e vediamo se le nuove disposizioni del Codice della Crisi d’Impresa hanno introdotto modifiche a riguardo. Per quanto riguarda i parametri soggettivi l’art. 1 della legge fallimentare dispone che "sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a euro trecentomila; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a euro cinquecentomila".
L’art. 15 u.c. stabilisce, quale requisito "oggettivo", la soglia di € 30.000 quale minimo indebitamento, al di sotto del quale il Tribunale non provvede a dichiarare il fallimento.
L’impresa minore nel Codice della Crisi d’Impresa
Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza introduce la definizione di "impresa minore", per designare le imprese che rientrano nella soglia di non fallibilità già prevista dal Regio Decreto del 1942; i parametri per il non assoggettamento alla liquidazione giudiziale, pertanto, sono gli stessi di quelli previsti dalla legge fallimentare. Anche gli organi della procedura di liquidazione giudiziale rimangono sostanzialmente invariati, trattandosi del Tribunale, del luogo della sede dell’impresa, del Giudice Delegato del Tribunale e del Curatore nominato dal giudice. Al di là delle definizioni, pertanto, la procedura che porta alla liquidazione giudiziale delle imprese insolventi ricalca in gran parte le norme della legge fallimentare che ha disciplinato la materia per 80 anni, innovata in modo più rilevante con riferimento agli strumenti di risoluzione della crisi.