Quando più soggetti condividono lo stesso diritto, come ad esempio un appartamento, si configura una situazione di comunione generica, che può originarsi tramite contratto ovvero per successione legittima o testamentaria.
L'art. 1111 c.c. stabilisce che ciascun partecipante ha il diritto di richiedere lo scioglimento della comunione tramite l'istituto della divisione, anche contro la volontà degli altri comunisti, che può avvenire in modo:
- negoziale, ossia volontaria e realizzata mediante un accordo di qualsivoglia genere, anche testamentario, si pensi al caso di un testamento in cui già vengono dettate le diverse quote da attribuire ad un erede piuttosto che ad un altro;
- giudiziale, nel caso in cui questa sia disposta dal giudice dietro espressa domanda dei partecipanti.
Le norme sulla divisione sono specificate negli artt. 713 ss. c.c. i quali, in realtà, disciplinano quella che può essere definita come divisione ereditaria (che si applica, a sua volta, anche agli altri tipi di divisione in quanto compatibile) e dagli artt. 784 ss c.p.c.
Nel caso in cui non si riesca a trovare un accordo la divisione giudiziale rappresenta l'unico meccanismo procedurale previsto dal Codice Civile per procedere alla divisione di un bene in comunione.
Ci sono dei limiti per la divisione giudiziale?
L'art. 1111 c.c., al secondo comma, riconosce la validità di un accordo tra i partecipanti per non sciogliere la comunione prima di un certo termine, che non può essere superiore a dieci anni. Se disposto in questo senso il giudice può autorizzare, su richiesta di uno dei partecipanti, lo scioglimento anticipato della comunione prima del termine concordato solo ed esclusivamente in presenza di gravi circostanze.
La divisione non è poi ovviamente ammissibile in tutti quei casi in cui si tratta di beni denominati “indivisibili” ossia non suscettibili di divisione materiale se non compromettendone la funzionalità, si pensi ad esempio ad un cavallo da corsa che non può certo essere diviso perfettamente a metà.
Come funziona il procedimento di divisione?
Il procedimento di divisione giudiziale dei beni, che si propone con domanda al Tribunale competente, si sviluppa in due fasi principali:
- il giudice accerta che vi siano i presupposti per procedere alla divisione;
- si determinano le quote e si attribuiscono ai condividenti.
Mentre la prima fase è gestita interamente dal giudice, quella in cui si determinano le quote è in genere affidata ad un consulente tecnico d'ufficio (C.T.U.) nominato dal Tribunale, il quale avrà il compito di valutare i beni e redigere un progetto di divisione.
Quando la cosa comune può essere comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti la divisione si opera in natura. Le porzioni devono essere formate comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità, in proporzione dell’entità di ciascuna quota.
Se operata in questo modo la divisione si conclude con l’assegnazione delle quote ai singoli, che può avvenire in due modi differenti a seconda che queste siano risultate uguali o diseguali. Ai sensi dell’articolo 729 del Codice Civile, nel primo caso l’assegnazione delle quote avviene per sorteggio mentre nel secondo per attribuzione. L'eventuale ineguaglianza in natura delle quote può essere compensata con un equivalente in danaro solo nel caso di divisione ereditaria.
Cosa succede se il bene non può essere diviso?
Nel caso in cui ci si trovi davanti ad una situazione di indivisibilità, come alternativa alla mancanza di accordo tra i condividendi, si procede direttamente alla vendita all'asta del bene e nella spartizione del ricavato. La norma di riferimento è l'art. 720 c.c. il quale sancisce che “se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene, e la divisione dell’intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione”.
L'articolo costituisce comunque una deroga al principio generale che attribuisce a ciascun coerede il diritto ai beni in natura secondo gli artt. 726 e 827 c.c.