In materia di contratti di locazione ad uso abitativo l’art. 5 della l. 392/1978 (Legge sull’equo canone) stabilisce che il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione del contratto. A tale scopo il proprietario, dopo aver messo in mora il conduttore, si rivolge al Tribunale per ottenere un decreto ingiuntivo, intimandogli contestualmente lo sfratto per morosità.
È possibile, per il conduttore, sanare la morosità in udienza, pagando tutti i canoni e gli oneri insoluti, oltre interessi e spese legali, per non più di tre volte in quattro anni, come dispone l’art. 55 l. equo-canone, salvo termini più lunghi nei casi di comprovate difficoltà economiche del conduttore.
Termine di prescrizione
Una questione dibattuta è se esista un termine entro il quale il proprietario abbia diritto di chiedere il pagamento dei canoni, oltre il quale il conduttore può ritenersi liberato dal relativo obbligo. In primo luogo bisogna considerare il termine di prescrizione previsto dalla legge: nelle locazioni si applica il termine breve quinquennale, che decorre dalla scadenza di ogni singola mensilità. Ciò significa che il conduttore potrà eccepire la prescrizione delle somme richieste dal proprietario risalenti a un periodo anteriore al quinquennio dalla scadenza, per legge non più dovute.
Altro criterio di cui occorre tener conto per valutare la legittimità della richiesta di pagamento dei canoni scaduti è quello della conformità al principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti di tenere un comportamento corretto e adeguato, anche rispetto all’interesse della controparte.
Tolleranza del proprietario
In una recente ordinanza, la n. 14240/20, la Suprema Corte ha richiamato il concetto di “tolleranza” del proprietario riguardo al protrarsi del ritardo da parte del conduttore nel pagamento dei canoni; il caso esaminato dalla Corte riguardava un contratto di locazione ad uso commerciale, nel quale il ritardo era dovuto alle difficoltà di guadagno dell’attività, un ristorante, dovute alla crisi economica.
Il principio, applicabile estensivamente a tutti i tipi di locazione, è che "la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni”.
Buona fede contrattuale
Ciò significa che, qualora il conduttore dimostri che il proprietario ha per un certo periodo di tempo accettato il pagamento dei canoni oltre la scadenza, l’improvvisa richiesta in giudizio di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento deve ritenersi contraria al principio di buona fede contrattuale, salvo che, prima di agire in giudizio, il proprietario abbia manifestato la propria volontà di risolvere il contratto, tramite lettera di messa in mora inviata al conduttore.
Tuttavia, prosegue, la Cassazione, non può essere imposto al locatore di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza; è sufficiente, pertanto, una prima diffida, valida anche per i ritardi successivi, al fine di rendere operativa la clausola di risoluzione del contratto.