Segnaliamo un’importante pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, la n. 9004 del 31 marzo 2021, che esamina il rapporto tra sentenza di scioglimento degli effetti civili del matrimonio e delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, nonché sugli aspetti economici regolati con la sentenza di divorzio.
In questa sede ci occupiamo del secondo argomento, rinviando ad un prossimo articolo la trattazione del primo punto, relativo agli effetti del passaggio in giudicato della sentenza ecclesiastica di nullità sul processo civile di divorzio.
Art. 5 legge sul divorzio
Quanto ai rapporti economici, in materia di divorzio l’art. 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, stabilisce che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Solidarietà economica
Tale norma, come ha ribadito più volte la Corte di Cassazione, ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di «solidarietà economica», il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi a tutela della persona più debole; in mancanza di ragioni di solidarietà economica, pertanto, l'eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in un ingiusto arricchimento del coniuge percettore dell’assegno, come è più volte accaduto in passato quando si faceva riferimento in astratto al criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio.
Superamento del parametro del tenore di vita
Con l’innovativa sentenza n. 18287 del 11 luglio 2018 le Sezioni Unite della Cassazione hanno messo in discussione il criterio, fino ad allora utilizzato dai giudici nei processi di divorzio, del “tenore di vita matrimoniale”, privilegiando il criterio della valutazione della mancanza, in capo al coniuge richiedente, di mezzi adeguati o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica dello stesso, alle capacità e possibilità effettive di svolgere attività lavorativa, alla stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Riguardo ai parametri di cui il giudice deve tener conto rientrano, per affermazione della stessa Corte, l’apporto alla vita familiare ed, eventualmente, all’impresa familiare reso dal beneficiario dell’assegno.
Apporto fornito dal beneficiario
Già in precedenti provvedimenti la Cassazione aveva precisato che l’assegno divorzile deve assicurare all’ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita -assistenziale, perequativa e compensativa-, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri, mediante complessiva ponderazione, relativa allo specifico contesto, dell’intera storia coniugale e della prognosi futura, tenendo conto, altresì, delle eventuali attribuzioni i degli introiti che abbiano compensato il sacrificio delle aspettative professionali dell’avente diritto e realizzato l’esigenza perequativa”. (Cass. 17 febbraio 2021 n. 4215)
Durata del vincolo coniugale
Altro parametro per la determinazione dell’assegno, su cui si soffermano Le Sezioni Unite con la sentenza n. 9004/2021, è quello relativo alla durata del vincolo coniugale e della convivenza tra i coniugi.
Da un lato viene ribadito quanto già affermato in precedenza (S.U. 18287/2018) circa la possibilità che i giudici da impedire qualsiasi apporto, da parte del richiedente l’assegno, al matrimonio stesso.
Durata dell’apporto alla vita familiare
Allo stesso tempo le Sezioni Unite, con la sentenza ultima richiamata, danno rilievo non solo al periodo di convivenza durante il matrimonio ma anche all’apporto fornito, in termini economici ma non solo, per l’educazione e assistenza dei figli, nella fase della separazione, di fatto e legale, prodromica al divorzio.
L’elemento della durata del vincolo coniugale, pertanto, viene messo in relazione alla durata dell’apporto fornito alla famiglia dal coniuge beneficiario, estendendolo anche alla fase di separazione precedente al divorzio, nella quale permangono i doveri di educazione ed istruzione dei figli, oltre che gli obblighi derivanti dall’affidamento degli stessi.