In tema di condominio di edifici, la costruzione da parte di uno dei condomini di una tettoia, appoggiata al muro perimetrale condominiale, a copertura di alcuni posti auto siti all'interno della proprietà esclusiva, non implica una violazione delle norme che regolamentano l'uso della cosa comune (art. 1102 c.c.), qualora la costruzione della tettoia non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione, non rechi danno alle parti comuni e non determini pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
Modifiche alle parti comuni
Questa la massima contenuta nell’ordinanza n. 7870 del 19 marzo 2021, con cui la Corte di Cassazione torna a occuparsi dei limiti entro i quali il singolo condomino può apportare modifiche agli spazi comuni e alla sua proprietà, in base alle regole del codice civile.
Ricordiamo che per “beni comuni” condominiali, ai sensi dell’art. 1117 c.c., si intendono gli spazi a uso comune facenti parte di un edificio in condominio, tra cui il lastrico solare, il tetto, il suolo, le scale, i portoni, gli androni, i muri perimetrali, i cortili e in generale tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune.
Riguardo l’uso che ciascun condomino può fare delle parti comuni la norma di riferimento è l’art. 1102 del codice civile, che stabilisce che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
È previsto, inoltre, che ciascun partecipante alla comunione possa apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa, nel rispetto dei limiti imposti dalla legge e dal regolamento condominiale.
Limiti alle opere
In concreto, ciò significa che per valutare la legittimità di uno specifico utilizzo o di opere e manufatti sul bene comune è necessario trovare il punto di equilibrio tra migliore godimento della cosa comune per ciascun condomino e rispetto della destinazione della stessa e del diritto degli altri partecipanti a utilizzarla.
Diverso è il caso delle innovazioni sulle parti comuni, disciplinato all’art. 1120 c.c., che prevede che i condomini, a maggioranza, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggiore rendimento delle cose comuni.
La differenza tra “modificazione” e “innovazione” sta nel fatto che quest’ultima comporta una radicale trasformazione del bene o della parte di esso su cui si interviene; per questo occorre una delibera condominiale adottata con un numero di voti che rappresenti almeno la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio.
Il caso al vaglio della Cassazione
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte il ricorrente, proprietario di un alloggio in un edificio popolare, aveva agito in giudizio nei confronti della convenuta, anch’essa condomina, la quale aveva costruito una rete metallica in appoggio al muro dell’edificio e a copertura di un posto auto.
Secondo il ricorrente la costruzione doveva essere rimossa, perché i lavori erano stati realizzati senza preventiva delibera assembleare e, inoltre, erano ritenuti in contrasto con l’armonia dell’edificio.
La Cassazione a riguardo afferma che la Corte territoriale, nell’escludere l’illegittimità delle opere, aveva ritenuto che esse non costituissero un ostacolo per il godimento delle parti comuni da parte degli altri condomini, le cui proprietà non avevano affacci sulla tettoia costruita dalla convenuta; inoltre, trattandosi di opere facilmente asportabili e non fisse (reti metalliche) non necessitavano di previa approvazione da parte dell’assemblea di condominio, stante anche la non visibilità dalla facciata esterna.