Nelle compravendite immobiliari è frequente la stipula di un contratto preliminare, con il quale vengono definiti gli elementi essenziali del contratto, cioè l’identificazione dell’immobile e il prezzo con le modalità di pagamento; viene poi stabilito il termine entro il quale le parti devono provvedere alla sottoscrizione del contratto definitivo o rogito.
Accordo per differire il termine
Il termine in questione è un elemento essenziale della pattuizione, nel senso che serve a delimitare i reciproci diritti e obblighi entro il periodo indicato; è possibile, tuttavia, differirlo, qualora una o entrambe le parti abbiano esigenza di prorogare, come anche di anticipare la stipula del definitivo.
In questi casi occorrerà che la parte interessata invii una comunicazione all’altra, che a sua volta risponderà accettando o meno l’indicazione del nuovo termine; è comunque fondamentale l’accordo delle parti ma la legge non richiede, per la modifica del termine inizialmente previsto, una particolare forma scritta.
Comportamento concludente
La Corte di Cassazione, sul punto, ha infatti precisato che, nei contratti per i quali è prescritta la forma scritta a pena di nullità, la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma soltanto nella parte riguardante gli elementi essenziali, come l’oggetto e il prezzo, che devono risultare dall'atto stesso; qualora sia previsto un termine per la stipula del contratto definitivo, la modifica di detto elemento accidentale e la rinuncia della parte ad avvalersene non richiedono la forma scritta, “sia perché detta forma è necessaria solo quando il diritto immobiliare costituisca l'oggetto diretto e immediato della rinuncia o della pattuizione, sia perchè l'accordo delle parti in ordine alla rinuncia o alla modifica non incide su alcuno degli elementi essenziali del contratto[...]" (Cass. Ordinanza n. 8765/2021).
Nel caso esaminato dalla Corte, il promissario venditore aveva accettato, dopo la scadenza del termine in precedenza pattuito, il pagamento di un'ulteriore somma a titolo di caparra confirmatoria da parte del promissario acquirente; tale accettazione configurava un comportamento concludente che, in quanto conforme a quelli fino a quel momento assunti dagli stessi, era tale da legittimare l'affidamento, in capo al promissario acquirente, di una proroga del termine per la stipula del contratto definitivo, cioè come un'inequivoca accettazione della richiesta di proroga di detto termine.
Risoluzione del contratto per inadempimento
In un altro caso, di cui alla recente ordinanza n. 18953/2022 della Corte di Cassazione, il promissario venditore (l'impresa di costruzioni) non si era presentato dinanzi al notaio il giorno della stipula; tale comportamento, unitamente ad altre circostanze, tra cui la mancata informazione dell’esistenza di un’ipoteca già iscritta sull’immobile e non cancellata, aveva indotto il promissario acquirente a far valere in giudizio la risoluzione del contratto per inadempimento, chiedendo il risarcimento pari al doppio della caparra versata.
Sia in primo grado che in appello i giudici avevano dato ragione al promissario acquirente, individuando nel comportamento tenuto dal venditore il rilevante inadempimento previsto dall’art. 1455 del codice civile quale causa di risoluzione del contratto; in base a tale norma, infatti, il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra.
Quanto alla valutazione della rilevanza dell’inadempimento, aggiunge la Suprema Corte, qualora esso sia totale e riguardi una delle obbligazioni primarie e fondamentali del contratto, come nel caso della mancata presenza dinanzi al notaio il giorno fissato per il rogito, la gravità è implicita nel mancato adempimento.