I casi di ricorso in tribunale per “malpractice” in ambito medico, finalizzati ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti a omissioni di cure o ad attività e diagnosi errate, sia nei confronti del danneggiato, sia nei confronti degli eredi dello stesso in caso di morte del paziente, possono avere esiti differenti, a seconda delle prove emerse in giudizio.
Onere della prova
Ricordiamo, infatti, che nelle cause civili l’onere della prova del fatto controverso e del diritto che si vuole tutelare spetta a chi avanza la domanda al giudice, a differenza del processo penale nel quale vi è un organo inquirente, il pubblico ministero, che svolge le indagini, con l’ausilio della polizia giudiziaria. È molto importante, pertanto, che le risultanze probatorie siano concordi e, laddove sia stata esperita un consulenza tecnica d’ufficio, imprescindibile nelle cause di responsabilità medica, da essa emergano gli errori sanitari che consentono di individuare le differenti responsabilità.
Il caso
In un caso esaminato dalla Corte di Cassazione, nella recente ordinanza n. 13509/2022, gli eredi di un soggetto deceduto a causa di un melanoma, avevano citato in giudizio il chirurgo che lo aveva operato diversi anni prima, per la stessa patologia; secondo gli eredi, il medico, oltre ad aver praticato male l’intervento, aveva omesso di indicare la necessità, per il paziente, di sottoporsi ad un “follw up” successivo, cioè a visite di controllo ed esami periodici necessari a controllare l’iter della malattia. Secondo la Suprema Corte, in tema di responsabilità sanitaria, l'attività dovuta dal medico-chirurgo non è limitata all'intervento chirurgico di cui è incaricato, ma si estende, coerentemente alla compiutezza della sua prestazione e in relazione al correlato interesse di tutela della salute del paziente, alle informazioni relative al doveroso "follow up" prescritto dai protocolli o comunque ritenuto corretto dalla comunità scientifica in relazione alla specifica diagnosi effettuata nel caso concreto.
Responsabilità per mancata indicazione del follow up
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso con cui il medico-chirurgo aveva censurato la sentenza di condanna al risarcimento del danno, legato alla perdita delle possibilità di sopravvivenza del paziente deceduto per melanoma, in ragione dell'omessa informazione al paziente sulla necessità di eseguire, oltre i dieci anni dall'intervento chirurgico, un follow up, come previsto da studi scientifici in corso all'epoca dell'intervento. Il danno risarcito al paziente, in questo caso, è legato alla perdita di chance conseguente al mancato follow up; l’ammontare del risarcimento, calcolato in via equitativa sulla base della c.t.u. medico-legale, è rapportato alla percentuale di probabilità di salvezza che il paziente deceduto avrebbe avuto qualora si fosse sottoposto ai controlli periodici che, invece, non gli erano stati prescritti.