Il nostro codice civile disciplina separatamente due istituti giuridici che presentano molte caratteristiche in comune e che, nella realtà, spesso si sovrappongono: parliamo del contratto d’appalto, regolato dagli artt. 1655 – 1677 c.c., e del contratto d’opera, di cui si occupano gli artt. 2222 – 2228 c.c..
La scelta operata dal legislatore, di collocare l’appalto nel titolo dedicato ai singoli contratti (titolo III) del libro dedicato alle obbligazioni (libro IV), diversamente dal contratto d’opera, inserito nel libro V dedicato al lavoro, in particolare al lavoro autonomo, già fornisce una prima spiegazione di questa apparente duplicazione normativa.
DISCIPLINA CIVILISTICA
Per l’appalto, infatti, vi è una disciplina minuziosa e più dettagliata degli obblighi delle parti contraenti, relativamente all’organizzazione dei mezzi necessari, alle possibili variazioni del progetto, alla fornitura dei materiali da parte dell’appaltatore, alle verifiche intermedie e finali (cd. “collaudo”) da parte del committente; per il contratto d’opera il codice delinea gli elementi essenziali del contratto (prestazione, corrispettivo, difformità e vizi dell’opera, diritto di recesso), prevedendo, all’art. 2222 c.c. che definisce il contenuto del contratto, un rinvio alle norme sull’appalto, qualora il rapporto contrattuale possa ricondursi alla tipologia dell’appalto.
Nello specifico, l’appalto, definito all’art. 1655 c.c., “ è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.
Ai sensi dell’art. 2222 c.c. nel contratto d’opera “una persona si obbliga a compiere per un dato corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”.
DIFFERENZE ED ELEMENTI IN COMUNE
Già da queste prime definizioni si possono delineare i tratti comuni: entrambi i contratti hanno per oggetto l’esecuzione di opere o servizi, entrambi prevedono l’esecuzione di attività senza vincolo di subordinazione con il committente.
Le principali differenze, delineatesi nella prassi dei rapporti economici, consistono nella capacità organizzativa e nella disponibilità di mezzi e forza lavoro, che nell’appaltatore sono richiesti in misura più ampia ed in forma di azienda (impresa medio-grande) rispetto al prestatore d’opera, il quale ultimo si identifica per lo più nella figura dell’artigiano.
Inoltre, nell’appalto il corrispettivo da versare all’appaltatore viene spesso determinato “a corpo”, in modo indipendente dal tempo impiegato dall’impresa appaltatrice, mentre nel contratto d’opera il compenso all’esecutore è spesso determinato proprio in funzione del tempo che ha impiegato.
L’ACCETTAZIONE DELLE OPERE DA PARTE DEL COMMITTENTE
Ulteriore elemento in comune è l’accettazione delle opere da parte del committente-appaltante e la conseguente responsabilità dell’esecutore-appaltatore per i vizi delle opere realizzate e la difformità rispetto al progetto inziale.
Per entrambi i contratti, infatti, la legge prevede che l’esecutore-appaltatore sia tenuto alla garanzia per i vizi e le difformità fino all’accettazione da parte del committente-appaltante.
L’accettazione può essere espressa, cioè dichiarata o formalizzata per iscritto, oppure tacita, cioè manifestata attraverso “fatti concludenti”, cioè comportamenti che esprimono univocamente la volontà di accettare l’opera.
UNA RECENTE PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
A questo proposito la Corte di Cassazione, sez. III, nella sentenza 10 novembre 2015, n. 22879, con riferimento alla verifica delle opere in tema di appalto, ha avuto modo di precisare che “ la presa in consegna dell’opera da parte del committente non equivale, ipso facto, ad accettazione della medesima, occorrendo al contrario stabilire se, in concreto, nel comportamento delle parti siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l’opera senza riserve”.
Ne consegue che il silenzio del committente al momento della consegna non equivale, di per se stesso, ad una accettazione implicita dell’opera, occorrendo al contrario valutare se dal suo comportamento complessivo emergano atteggiamenti comprovanti suoi dubbi o riserve a riguardo, quali, ad esempio, il fatto di non aver provveduto a pagare integralmente l’opera.
L’accettazione dell’opera, pertanto, deve essere oggetto di valutazione specifica a prescindere dalla presa in consegna dell’opera stessa, e deve tenere conto del comportamento complessivo del committente, il cui silenzio può non essere espressione univoca di accettazione del lavoro svolto dall’appaltatore.