E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale serie speciale n. 52 del 28/12/2016 la sentenza della Corte Costituzionale 8 novembre - 21 dicembre 2016, n. 286, che ha dichiarato l’incostituzionalità degli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, dell’artt. 72 del Regio Decreto 9 luglio 1939 n. 1238 ("Ordinamento dello stato civile") e degli artt. 33 e 34 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 ("Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile”).
Con la sentenza in questione è stato rimosso dal nostro ordinamento un retaggio del passato, in base al quale, al momento della nascita del figlio, gli veniva automaticamente attribuito il cognome paterno, salvo i casi di riconoscimento effettuato dalla sola madre.
QUESTIONE DI INCOSTITUZIONALITA’
La decisione della Corte Costituzionale prende le mosse dalla rimessione effettuata nel 2013 dalla Corte d’appello di Genova, la quale ha sollevato − in riferimento agli artt. 2, 3, 29, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui prevede «l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volontà dei genitori».
È denunciata, in primo luogo, la violazione dell’art. 2 Cost., in quanto verrebbe compresso il diritto all’identità personale, il quale comporta il diritto del singolo individuo di vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali.
Viene, inoltre, evidenziato il contrasto con gli artt. 3 e 29, secondo comma, Cost., poiché sarebbe leso il diritto di uguaglianza e pari dignità dei genitori nei confronti dei figli e dei coniugi tra di loro.
La Corte Costituzionale, nell’esaminare la questione sottopostale, l’ha ritenuta fondata, rilevando , preliminarmente, che tra le disposizioni individuate compare l’art. 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, il quale, tuttavia, è stato abrogato dall’art. 110 del d.P.R. n. 396 del 2000; tuttavia, rileva la Corte, nonostante l’abrogazione la norma censurata continua a permeare il sistema, facendo sì che il cognome del padre si estenda ipso iure al figlio, cosa che «certamente si configura come traduzione in regola dello Stato di un’usanza consolidata nel tempo», come la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato (Cass., sez. I, 17 luglio 2004, n. 13298; v. anche Cass., sez. I, 22 settembre 2008, n. 23934).
Nel caso in esame, la norma sull’automatica attribuzione del cognome paterno è oggetto di censura per la sola parte in cui non consente ai genitori – i quali ne facciano concorde richiesta al momento della nascita – di attribuire al figlio anche il cognome materno.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Già con la sentenza n. 61 del 2006 la Corte Costituzionale aveva espressamente rilevato l’incompatibilità della norma in esame con i valori costituzionali della uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Tale sistema di attribuzione del cognome, infatti, è definito come il «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
La Corte rileva come a distanza di molti anni nel nostro ordinamento non sia stato ancora introdotto un «criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi», neppure con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), con cui il legislatore ha posto le basi per la completa equiparazione della disciplina dello status di figlio legittimo, figlio naturale e figlio adottato, riconoscendo l’unicità dello status di figlio, ha scalfito la norma oggi censurata.
Nella famiglia fondata sul matrimonio rimane così tuttora preclusa la possibilità per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome, nonché la possibilità per il figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della madre.
LESIONE DEL DIRITTO ALL’IDENTITA’ PERSONALE
La Corte ritiene che siffatta preclusione pregiudichi il diritto all’identità personale del minore e, al contempo, costituisca un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare.
In tale direzione si è espressa anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ricondotto il diritto al nome nell’ambito della tutela offerta dall’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
La piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori.
Viceversa, la previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno.
La norma censurata, inoltre, contrasta con il principio di parità e uguaglianza sancito all’art. 3 e, in seno alla famiglia, all’art. 29 Cost., di fatto determinando una disparità di trattamento tra marito e moglie.
COGNOME MATERNO IN CASO DI ACCORDO TRA GENITORI
Per tutte queste motivazioni la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme del codice civile in apertura richiamate - in relazione all'art. 72 R.D. 1238/39 - pur se limitatamente alla sola parte in cui, anche in presenza di una diversa e comune volontà dei coniugi, i figli acquistano automaticamente il cognome del padre.
L’accertamento della illegittimità è, pertanto, limitato alla sola parte di essa in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.
In assenza dell’accordo dei genitori, pertanto, residua la generale previsione dell’attribuzione del cognome paterno, in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità.