Quando si parla di risarcimento danni a seguito di sinistri, stradali o di altra natura, tutti sanno, anche solo in termini generici, che il responsabile del sinistro è tenuto a rifondere al danneggiato il danno subito; nel tempo, tuttavia, si è creata una certa confusione tra le voci di danno indennizzabili e non sempre è chiara la differenza tra l’una e l’altra.
Il risarcimento riguarda sia il danno patrimoniale, cioè la perdita economica conseguente all’evento lesivo, sia quello non patrimoniale; in quest’ultima voce rientra il danno biologico, cioè la lesione psicofisica subita dal soggetto, e il danno morale, inteso come l’intima sofferenza patita a seguito del sinistro.
VOCI DI DANNO NON PATRIMONIALE
La dottrina e la giurisprudenza hanno, inoltre, elaborato altre categorie di danno non patrimoniale, quale ad esempio il danno esistenziale, cioè le conseguenze negative che il sinistro ha provocato alla sfera relazionale del danneggiato; ulteriore tipologia di danno sviluppatasi nel tempo è quella del danno estetico, se il sinistro ha lasciato evidenti segni che hanno deturpato il volto o altre parti del corpo della vittima.
Nei contenziosi civilistici si è assistito negli anni ad una eccessiva proliferazione di voci risarcitorie, che, in molti casi, costituiscono una mera duplicazione di altre voci di danno.
Dal punto di vista delle compagnie assicurative l’aumento delle domande di indennizzo – dovuto anche all’elevato numero di contenziosi, spesso di natura “bagattellare” - ha avuto come contrappeso l’aumento dei premi assicurativi a discapito degli assicurati.
LE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE
A far chiarezza sul punto è intervenuta alcuni anni fa la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenze n. 26972/2008 e n. 26976/2008), con due pronunce che hanno stabilito dei punti fermi sulla risarcibilità del danno patrimoniale, riportandolo ad un’unica categoria unitaria ed omnicomprensiva.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite è che “ il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie.
Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E’ compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione”.
UNITARIETA’ E PERSONALIZZAZIONE DEL DANNO
Se, pertanto, da un lato vi è la necessità di assicurare l’unitarietà del danno non patrimoniale ed evitare inutili e costose duplicazioni, dall’altro vi è l’esigenza di garantire l’integralità del risarcimento, tenendo conto della particolarità del caso concreto e della personalizzazione del danno.
Da tali principi è partita la giurisprudenza successiva della Cassazione, nell’esame dei casi concreti di volta in volta sottoposti al suo giudizio, quale la recente ordinanza n. 26805 del 14/11/2017, avente ad oggetto un sinistro stradale nel quale il ricorrente aveva impugnato la sentenza d’appello, che non gli aveva riconosciuto, oltre al danno biologico, anche il danno esistenziale.
CASO CONCRETO
La Suprema Corte, nel richiamare i principi anzidetti, in primo luogo rammenta che, su di un piano generale, il nostro ordinamento conosce e disciplina soltanto la fattispecie del danno patrimoniale - nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante previste dall’art. 1223 c.c. - e quella del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c..
Premesso ciò, prosegue la Corte, le sentenze del 2008 offrono un criterio generale per l’accertamento e la valutazione del danno non patrimoniale ma ciò non toglie che occorre tenere sempre conto della specificità del caso concreto.
DANNO ESISTENZIALE
In questo senso, dopo aver identificato l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all'ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa ecc.), il giudice deve valutare tanto l'aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto il suo impatto modificativo sulla vita quotidiana, cioè il danno cd. esistenziale o alla vita di relazione.
Con l’ulteriore precisazione dell’estensibilità di tale assunto ad ogni tipo di lesione, anche alle “micropermanenti” – disciplinate all’art. 139 del Codice delle Assicurazioni – per le quali è confermata la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto.