ART. 3 D.LGS 5/2017
La difformità di disciplina del cognome, tra matrimonio ed unioni civili, ha quindi portato il legislatore e correggere il tiro, laddove, con l’approvazione del successivo D.lgs. n. 5 del 2017, all’art. 3 si prevede che la scelta del cognome comune non modifica la scheda anagrafica individuale, nella quale rimane il cognome precedente, fermo restando che la scelta effettuata viene iscritta negli atti dello stato civile.
Sull’argomento è intervenuta di recente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 212 del 22 novembre 2018, che ha confermato la legittimità costituzionale delle norme vigenti in materia, in base alle quali è esclusa la valenza anagrafica, con le conseguenti modifiche sui documenti dei soggetti uniti civilmente, del cognome scelto come comune dalle parti, così come del doppio cognome.
IL RICORSO ALLA CORTE COSTITUZIONALE
La vicenda aveva preso il via dal ricorso presentato da una coppia di omosessuali che, al momento di unirsi civilmente, avevano optato per il doppio cognome di uno dei due, con relativo aggiornamento della scheda anagrafica del soggetto che aveva aggiunto al proprio cognome quello del partner, come era previsto dal citato decreto.
Dopo qualche mese, a seguito dell’approvazione del d.lgs. 5/2017, la coppia si è rivolta al tribunale per opporsi alla variazione d’ufficio del cognome nel frattempo assunto, disposta dall’anagrafe in conformità a tale ultimo decreto attuativo; il giudice investito del ricorso ha, quindi, sollevato questione d’illegittimità costituzionale delle norme che hanno escluso la variazione della scheda anagrafica con il nuovo cognome, norme ritenute lesive dei diritti, costituzionalmente garantiti, al nome, all’identità e alla dignità personale.
La questione non è di scarsa rilevanza, in quanto assumere nella scheda anagrafica il cognome del partner significa poterlo trasmettere ai figli, mentre diversamente i figli mantengono il cognome del genitore che li ha riconosciuti.
LEGITTIMITA’ DELLE NORME VIGENTI
La Corte Costituzionale, come anticipato, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate, rilevando preliminarmente che l’art. 3 citato delimita la durata del cognome comune a quella dell’unione civile, cosicchè lo scioglimento dell’unione civile comporta la perdita automatica del cognome comune.
Secondo la Corte questa previsione è conforme al principio di ragionevolezza: data la temporaneità dell'effetto della scelta del cognome comune sarebbe stato contraddittorio e irragionevole attribuire a tale scelta un effetto definitivo e irreversibile quale è quello che consegue alla variazione della scheda anagrafica e dei documenti rilasciati al soggetto (carta d’identità, codice fiscale, tessere sanitaria etc.).
Inoltre "la natura paritaria e flessibile della disciplina del cognome comune da utilizzare durante l’unione civile e la facoltà di stabilirne la collocazione accanto a quello originario – anche in mancanza di modifiche della scheda anagrafica – costituiscono dunque garanzia adeguata dell’identità della coppia unita civilmente e della sua visibilità nella sfera delle relazioni sociali in cui essa si trova ad esistere".