L’art. 143 del codice civile pone, a carico dei coniugi, il dovere di reciproca assistenza morale e materiale; se il primo dovere cessa con la separazione, l’obbligo di assistenza materiale permane, fino allo scioglimento del vincolo coniugale, cioè al divorzio, a seguito del quale può continuare a sussistere un dovere assistenziale nei confronti del coniuge meno abbiente e che non abbia capacità lavorativa.
Patrimonio dei coniugi
In caso di separazione giudiziale, come in tutti i casi di modifica successiva delle condizioni stabilite negli accordi e nella sentenza di separazione, il Giudice del tribunale prende in considerazione la situazione patrimoniale di entrambi i coniugi, al fine di determinare se e in che misura uno dei coniugi è tenuto a versare all’altro l’assegno di mantenimento per sé e per i figli. Il primo dato che viene valutato è quello reddituale, costituito dalle entrate derivanti dal lavoro, come pure la proprietà e le rendite delle locazioni di immobili e altri beni, le partecipazioni sociali, i titoli e gli investimenti finanziari e, in generale, tutto ciò che costituisce reddito; oltre a tale valutazione, il giudice prende in considerazione le esigenze dei figli e il tenore di vita familiare prima della separazione, che dovrà essere possibilmente mantenuto anche dopo, salvo che siano intervenuti eventi modificativi delle condizioni patrimoniali delle parti.
Oltre al reddito vengono valutate tutte le altre risorse economiche dei coniugi, compresa la loro capacità lavorativa, con riferimento alle opportunità di lavoro che il coniuge beneficiario dell’assegno potrebbe avere per rendersi autonomo dal punto di vista economico.
Prova del reddito
Al fine di accertare la consistenza patrimoniale dei coniugi, nel giudizio di separazione, come in tutte le cause civili, sono le parti a dover fornire la prova di quanto esse richiedono; ciascun coniuge, pertanto, a sostegno della propria domanda, dovrà produrre ogni documento utile al giudice per determinare i redditi di ciascuno, primo fra tutti la dichiarazione dei redditi, oltre a estratti conto bancari ed eventuali titoli di proprietà di beni. È possibile, tuttavia, che quanto risulta dalla documentazione contabile non corrisponda al patrimonio effettivo, perché ad esempio uno dei soggetti ha entrate “in nero” oppure ha titoli all’estero non facilmente tracciabili. Per questa ragione la parte che ha interesse a dimostrare il reddito effettivo dell’altra può domandare al giudice di svolgere indagini tributarie, in applicazione dei principi stabiliti in materia di divorzio.
Indagini tributarie del giudice
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22616/2022, con cui è stato affermato che, ai fini della determinazione degli assegni di mantenimento del coniuge e dei figli in sede di separazione, occorre tener conto del tenore di vita condotto dai coniugi quando vivevano insieme, a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l'ordinamento prevede strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l'emersione ai fini della decisione.
A tal proposito, prosegue la Suprema Corte, le indagini della polizia tributaria hanno proprio tale funzione, posto che, di fronte a risultanze incomplete o inattendibili, il giudice ha la possibilità di farvi ricorso, anche d'ufficio, atteso che l'occultamento di risorse economiche rende per definizione estremamente difficile la dimostrazione della realtà delle stesse in base alle regole dell'ordinario riparto dell'onere della prova, rischiando di pregiudicare il diritto di difesa di chi ha interesse alla loro emersione processuale. Il potere d’indagine d’ufficio, tuttavia, necessita di elementi concreti e specifici offerti dalla parte richiedente, a fronte dei quali il giudice di merito non può rigettare la richiesta.
Principio di diritto
Consegue, a tali argomentazioni, l’affermazione del principio in base al quale “nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi, il potere di disporre indagini della polizia tributaria, derivante dall'applicazione analogica della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 9, costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell'onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all'incompletezza o all’inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell'assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini".