Ci siamo spesso occupati del tema della ripartizione delle spese condominiali per lavori di manutenzione dei balconi e della responsabilità civile in caso di danni provocati dalla rovina degli stessi. Abbiamo visto in altri articoli come gli elementi costituitivi dei balconi, a seconda della loro funzione, possono o meno rientrare tra i beni comuni elencati all’art. 1123 del codice civile, con conseguente operatività del principio di ripartizione delle relative spese pro quota, in base alle tabelle millesimali.
Elementi architettonici
Se infatti, gli elementi esterni, quali i rivestimenti della parte frontale e di quella inferiore, e quelli decorativi di fioriere, balconi e parapetti di un condominio, svolgono una funzione di tipo estetico rispetto all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico. Essi vengono intesi come parti comuni ai sensi dell'articolo 1117 c.c., n. 3, con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricadrà su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (in tal senso Cass. 21641/2017). Viceversa, se balconi, finestre e lucernari non contribuiscono al decoro architettonico ma assolvono unicamente la funzione di copertura e di passaggio di luce e aria, costituiscono elementi integranti l’unità immobiliare a cui appartengono, con la conseguenza che le spese di rifacimento andranno addebitate al singolo proprietario o, per quanto riguarda la soletta, ripartite con il proprietario del piano sottostante.
Responsabilità civile e penale
Quanto alla responsabilità civile per danni cagionati dalla rovina dei balconi, ad esempio dalla caduta di calcinaccio, la parte danneggiata normalmente agirà nei confronti dell’amministratore di condominio; questi, a sua volta, potrà chiamare in causa il singolo condomino (oltre che la compagnia assicurativa) nel caso in cui il danno dipenda da negligenza del singolo proprietario o da mancata manutenzione di una parte non rientrante tra i beni comuni. Dal punto di vista penale, la responsabilità per danni a terzi dipendenti da rovina di parti di edificio può integrare il reato di lesioni personali o, nelle ipotesi meno gravi, il delitto di cui all’art. 677 del codice penale, relativo a “omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina”; tale norma, depenalizzata nel ’99, prevede che il proprietario di un edificio che necessita di manutenzione, o chi sia tenuto per lui a tale adempimento, che ometta di attivarsi per rimuovere la situazione di pericolo, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria, salvo il caso in cui sia messa in pericolo l’incolumità delle persone, fattispecie sanzionata penalmente con l'arresto fino a sei mesi o pagamento di un’ammenda.
Il caso
La Corte di Cassazione, I sezione penale, nella recente sentenza n. 31592/2022, si è occupata di un caso in cui alcuni condomini di un edificio sono stati condannati alla pena suddetta, per non aver provveduto a riparare le parti pericolanti dei loro balconi; essi si erano difesi affermando la responsabilità dell’amministratore di condominio, il quale non si era attivato per provvedere ai lavori necessari, stante anche il mancato raggiungimento del quorum assembleare utile a deliberare le opere.
Secondo la Suprema Corte, che conferma la condanna in primo grado dei condomini imputati, nel caso di mancata formazione della volontà assembleare e di omesso stanziamento di fondi necessari per porre rimedio al degrado che dà luogo al pericolo, non può ipotizzarsi la responsabilità per il reato di cui all'art.677 c.p. a carico dell'amministratore del condominio per non aver attuato interventi che non erano in suo materiale potere, ricadendo su ogni singolo proprietario l'obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dalla possibilità di attribuire al medesimo l'origine della stessa.
Negligenza del singolo proprietario
Ciò in linea con la giurisprudenza consolidata della stessa Corte, che ha chiarito che, ai fini dell'integrazione del reato in questione, che costituisce illecito contravvenzionale, è sufficiente la colpa e non è, quindi, necessario che la condotta omissiva sia motivata da una specifica volontà di sottrarsi ai dovuti adempimenti, essendo al contrario sufficiente un comportamento negligente.