Il legale rappresentante di una società, che firmi un assegno bancario apponendovi accanto il timbro dell’impresa, agisce in tale qualità e non a titolo personale; è illegittimo, pertanto, il comportamento della banca che paghi l’assegno addebitandolo sul conto corrente personale del firmatario dell’assegno, anziché su quello della società da lui rappresentata.
Il caso
È quanto afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 3070/2020, a conclusione di una controversia insorta a seguito del ricorso presentato da un cliente di una banca, che gli aveva notificato un decreto ingiuntivo per lo “scoperto” del suo conto corrente, sul quale era stata addebitata la somma indicata in un assegno emesso in nome e per conto della società di cui il cliente era legale rappresentante, società che pure era titolare di conto corrente presso il medesimo istituto di credito.
Legge assegni
Le norme cui fare riferimento per la relativa disciplina sono quelle risalenti al Regio Decreto 21 dicembre 1933 n. 1736, cosiddetta “legge assegni”, tutt’ora in vigore, nonostante recenti modifiche relative al regime sanzionatorio ed al procedimento elettronico di gestione degli assegni.
L’art. 11 del R.D. stabilisce che ogni sottoscrizione deve contenere il nome e cognome o la ditta di colui che si obbliga, precisando che è comunque valida la sottoscrizione nella quale il nome sia abbreviato o indicato con la sola iniziale.
L’art. 14 prevede, inoltre, che chi appone la firma sull'assegno bancario quale rappresentante di una persona per la quale non ha il potere di agire, è obbligato per effetto dell'assegno bancario come se l'avesse firmato in proprio, e, se ha pagato, ha gli stessi diritti che avrebbe avuto il preteso rappresentato; la stessa disposizione si applica al rappresentante che abbia ecceduto i suoi poteri.
Infine, l’art. 15 dispone che la facoltà generale di obbligarsi in nome e per conto altrui comprende anche quella di emettere e girare assegni, salvo che l'atto di rappresentanza disponga diversamente.
La giurisprudenza
Sulla base di tali articoli di legge la giurisprudenza di legittimità ha affermato alcuni princìpi, richiamati nell’ordinanza della Corte di Cassazione oggi in esame.
Il primo principio è quello secondo cui l'assunzione di un'obbligazione cartolare "in nome altrui" - in tale formula ricomprendendosi tanto il caso della rappresentanza negoziale, quanto quello della così detta rappresentanza organica (art. 1400 c.c.) - suppone "l'apposizione della sottoscrizione con l'indicazione della qualità, ancorché senza l'uso di formule sacramentali e con le sole modalità idonee a rendere evidente ai terzi l'avvenuta assunzione dell'obbligazione per conto di altri, come nel caso di collocazione della firma cambiaria sotto il timbro di una società, sufficiente a rivelare la volontà del sottoscrittore di impegnarsi in rappresentanza dell'ente" (Cass., 22 aprile 1993, 4763; tra le più recenti v. Cass., 21 giugno 2012, n. 10388).
Firma del legale rappresentante
In consonanza con questo principio, si è anche precisato che "per la firma di un ente collettivo, non è sufficiente l'indicazione della ragione o della denominazione, occorrendo il nome (anche abbreviato o con la sola iniziale) e il cognome della persona fisica che sottoscrive per l'ente, pur senza necessità di una specifica formula da cui risulti il rapporto di rappresentanza" (Cass., 12 dicembre 2005, n. 27378, a p. 29 della pronuncia); in modo comunque che il contesto cartolare venga ad esplicitare il "collegamento tra il firmatario e l'ente, così che non vi siano dubbi in ordine al fatto che la dichiarazione cartolare sia emessa dal sottoscrittore in nome e per conto dell'ente" (Cass., 23 aprile 2004, n. 776.).
Per queste ragioni, la banca, nel caso oggi riportato, avrebbe dovuto addebitare la somma indicata sull’assegno riportante il timbro della società e la firma del suo legale rappresentante, sul conto corrente dell’azienda, essendo questa ad aver assunto l’obbligazione di pagamento.