La responsabilità civile per danni a cose e persone è sancita, nel nostro ordinamento, da diversi articoli del codice civile, in base ai quali si può distinguere una responsabilità contrattuale, derivante, cioè, da un rapporto negoziale che lega l’autore del danno al danneggiato, dalla responsabilità extracontrattuale, che si configura tutte le volte in cui tale rapporto non c’è.
Fatto illecito
Quest’ultima fattispecie è disciplinata dall’art. 2043 c.c., norma generale della responsabilità per fatto illecito, che obbliga chiunque l’abbia commesso, per qualsiasi ragione, a risarcire il danno cagionato a terzi. Vi sono, tuttavia, ambiti nei quali, pur non essendovi un rapporto contrattuale tra responsabile del danno e parte danneggiata, il codice civile stabilisce regole specifiche se il fatto è commesso in determinate circostanze.
Danno da cose in custodia
È il caso dell’art. 2051 del codice civile, secondo cui ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. Si tratta di un fattispecie riguardante tutte le ipotesi in cui il proprietario, possessore o detentore di un bene, mobile o immobile, dal quale siano derivati danni a terzi, è tenuto al risarcimento in base al suo obbligo di custodia della cosa, che impone di gestirla e amministrarla in modo che non sia pericolosa per l’incolumità di altri soggetti. Pensiamo agli edifici, di cui è responsabile il condominio in caso di danno a terzi; all’interno del condominio, ciascun proprietario è responsabile dei danni provocati agli altri condomini, o a terzi, derivanti dalla propria unità immobiliare.
Infiltrazioni provenienti da immobile in condominio
Di una simile ipotesi si è occupata la Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 21977/2022, riguardo un ad un caso di danni da infiltrazioni provenienti dall’appartamento sovrastante quello del ricorrente, causati da rottura di tubazione a seguito di lavori di ristrutturazione. Secondo la Corte di appello, adita dal danneggiato, nel caso di specie non poteva applicarsi l’art. 2051 c.c., poiché il danno all’appartamento sottostante non derivava dalla “cosa”, cioè dall’immobile, in quanto era stato dimostrato in giudizio che esso era dipeso da errori imputabili all’impresa che aveva realizzato i lavori di ristrutturazione, dunque da fatti umani.
Responsabilità per lavori di ristrutturazione
La Corte di Cassazione, su ricorso sempre della parte danneggiata, smentisce tale assunto rilevando che il proprietario di un appartamento risponde sempre ai sensi dell'art. 2051 c.c. dei danni causati dalla rottura di una tubazione, nel corso di lavori di restauro appaltati ad impresa edile; infatti l'art. 2051 c.c. trova applicazione sia quando il danno sia stato arrecato dalla cosa in virtù del suo intrinseco dinamismo, sia quando sia stato arrecato dalla cosa in conseguenza dell'agente dannoso in essa fatto insorgere dalla condotta umana, come nell’ipotesi delle opere di ristrutturazione. Tanto una tubazione idrica, quanto l'acqua in essa contenute, osserva la Corte, sono infatti "cose", rientranti nella previsione dell’art. 2051 c.c., ed a tali fini nulla rileva se abbiano arrecato un danno perché guaste per vetustà o perché danneggiate da condotta umana; nell'uno, come nell'altro caso, infatti, grava pur sempre sul custode l'onere di vigilare affinché la propria cosa non arrechi danno a terzi.
Impresa appaltatirice
Ulteriore precisazione è che la responsabilità del custode non può escludersi per il solo fatto che questi abbia affidati a terzi lavori di restauro: è infatti pacifico in giurisprudenza, che, salva l'ipotesi in cui l'appalto comporti il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile, non viene meno per il committente il dovere di custodia e di vigilanza.