In materia di famiglia il nostro codice civile sancisce, all’art. 143, il dovere di assistenza morale e materiale a carico di ciascuno dei coniugi.
Se la coppia entra in crisi ed il vincolo matrimoniale si affievolisce con la separazione o cessa definitivamente con il divorzio, tuttavia permane l’obbligo di assistenza economica anche in caso di separazione, e, con alcuni limiti di cui si è detto in altri articoli a cui si rinvia, di divorzio.
DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO
L’assegno di mantenimento è lo strumento attraverso il quale il coniuge che ha maggiori entrate economiche sostiene il coniuge più debole ed i figli eventualmente assegnati a quest’ultimo.
Il parametro di valutazione dell’ammontare dell’assegno tiene conto di diversi fattori, primo fra tutti l’occupazione lavorativa ed il reddito che ne deriva; anche la “capacità lavorativa”, cioè la possibilità per il coniuge privo di occupazione di trovarne una adeguata al proprio sostentamento, viene presa in considerazione dal giudice nella cause di separazione.
Il giudice verificherà in primo luogo i redditi di entrambi i coniugi, quindi valuterà le esigenze dei figli ed il tenore di vita familiare prima della separazione, che dovrà essere possibilmente mantenuto anche dopo, salvo che siano intervenuti eventi modificativi delle condizioni patrimoniali delle parti; nel caso della separazione, infatti, a differenza del divorzio, il vincolo coniugale non si è ancora sciolto, pur se i coniugi sono autorizzati a vivere separatamente, tanto che almeno in teoria è sempre possibile un ricongiungimento.
ISTANZA DI REVISIONE DELL’ASSEGNO
Il mutamento delle condizioni economiche da parte di uno o entrambi i coniugi, in corso di causa o successivamente alla sentenza di separazione, consente al soggetto tenuto al mantenimento di ottenere una revisione dell’assegno.
Se, ad esempio, il coniuge beneficiario dell’assegno al momento dell’attribuzione stabilita dal giudice era privo di occupazione e successivamente abbia iniziato a lavorare, l’altro coniuge può chiedere la revisione delle condizioni inizialmente stabilite, domandando al giudice di ridurre o, se la nuova occupazione produce un reddito elevato, anche di revocare l’assegno di mantenimento.
Una questione dibattuta è quella della decorrenza della revisione, cioè di stabilire a partire da quale momento l’importo dell’assegno deve essere ridotto (o eventualmente aumentato, se è il coniuge svantaggiato a farne richiesta) in base al provvedimento giudiziale.
IL CASO
In un caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, sfociato nell’ordinanza n. 23024/2019, nel giudizio di revisione dell’assegno di mantenimento disposto dal tribunale in sede di separazione, il marito aveva chiesto la riduzione dell’assegno inizialmente quantificato in favore della moglie; il Tribunale, con sentenza confermata in appello, aveva accolto la domanda, sulla base delle prove offerte dal marito, che aveva allegato le indagini svolte dalla polizia tributaria, a conferma del reddito effettivo del coniuge beneficiario.
Quanto alla decorrenza del nuovo importo così ridotto, sia in primo grado che in appello il giudice ne aveva disposto la corresponsione a partire dalla data del ricorso introduttivo del giudizio di revisione, anziché dal momento successivo della sentenza.
La moglie ricorreva in Cassazione, ritenendo di avere diritto alla somma maggiore almeno fino alla sentenza del giudizio di revisione, sulla base del principio di “non ripetibilità” delle somme versate per causa alimentare.
Per costante giurisprudenza, infatti, le somme corrisposte a titolo di mantenimento non sono “ripetibili”, cioè restituibili dal coniuge che le ha ricevute, in quanto rispondono ad un dovere di solidarietà ed assistenza e sono finalizzate ad assicurare il sostentamento del coniuge più debole; quest’ultimo, pertanto non è tenuto ad accantonare una parte di quanto percepito in funzione della eventuale riduzione dell’assegno ( in tal senso Cass. 4198/1998; Cass. 28987/2008, Cass. 6864/2009; Cass. 23441/2013; Cass. 21675/2012; Cass. 15186/2015).
DECORRENZA DELLA REVISIONE
La Suprema Corte nell’ordinanza n. 23024/2019, precisa che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo; tuttavia, ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione.
Nel caso di specie, pertanto, la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello, che consentiva al marito di versare l’assegno nell’importo ridotto, a partire dall’atto introduttivo del procedimento di revisione, non avendo egli versato importi maggiori.