Il caso esaminato dalla Suprema Corte
Durante un sorpasso tra automobili, uno dei due guidatori perde il controllo dell'auto e per tale motivo, a causa della velocità eccessiva, supera il guard rail schiantandosi contro un arbusto e perdendo la vita. I familiari della vittima decidono di citare in giudizio il Comune per ottenere il risarcimento del danno morale subito a seguito della sua scomparsa. In prima istanza, la richiesta viene respinta, ma successivamente viene accolta in appello per esser poi cassata dal giudice di ultima istanza.
La normativa
Ai sensi dell'art. 2051 c.c. ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia salvo che provi il caso fortuito. A differenza della classica responsabilità per fatto illecito che presume almeno l'elemento della colpa, in questo caso specifico, il soggetto risponde del danno causato sulla base di un duplice criterio di responsabilità ossia che tra la cosa e il danno vi sia un nesso di causa e che tra il responsabile e la cosa sussista un rapporto di custodia di qualsiasi genere per cui il soggetto si trova nella materiale disponibilità fisica, in genere è il proprietario ma non sempre le figure coincidono.
Per provare l'interruzione del nesso il custode dovrà quindi provare che l'apporto causale fornito dal terzo o dal danneggiato abbia i seguenti requisiti:
- autonomia;
- eccezionalità;
- imprevedibilità;
- inevitabilità;
- idoneità a produrre l'evento, escludendo fattori causali concorrenti.
Come si individua il custode?
Il custode è tenuto responsabile per determinati eventi indipendentemente dall'esistenza di un nesso causale diretto tra il suo comportamento e l'accadimento del danno; ciò che conta è il legame di causalità tra la cosa e il danno stesso. La nozione di custodia derivante da un contratto non è rilevante, poiché l'articolo 2051 del codice civile riguarda i rapporti con terzi danneggiati dal bene sotto custodia.
Quale ragionamento è stato effettuato dalla Corte d'Appello?
Nel caso di specie l'incidente è avvenuto principalmente a causa della guida imprudente della vittima che stava viaggiando, a seguito di accertamenti peritali, al doppio del limite di velocità consentito. Il tratto di strada era dritto, il fondo era asciutto e in buone condizioni. Il consulente tecnico d'ufficio ha poi evidenziato che l'altezza del guard rail non rispettava le normative vigenti all'epoca, misurando solo circa 40/50 cm invece dei 75 cm richiesti.
La Corte d'Appello attribuiva pertanto 2/3 della responsabilità dell'incidente alla condotta di guida del giovane e il restante 1/3 alle caratteristiche non conformi del guard rail. La minore frazione è giustificata in relazione al fatto che la sostituzione delle protezioni non conformi con altre a norma di legge non rientra nell'ambito delle attività di manutenzione.
Dal momento che il sinistro oggetto di scrutinio si è verificato lungo una strada, per completezza espositiva, preme ricordare che la legge prevede però in capo all’ente proprietario l’obbligo di mantenere la via in buone condizioni, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione; l’ente deve occuparsi della manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché di attrezzature, impianti e servizi; del controllo tecnico della loro efficienza, oltre all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta (art. 14 Codice della strada). Tale obbligo è, altresì, previsto per i Comuni dall'art. 5 R.D. 15 novembre 1923, n. 2506 (Cass. 1725/2019; Cass. 7361/2019).
L'esclusione di responsabilità del Comune
La sentenza della Corte d'appello è stata però cassata dall'ordinanza n. 15447/2023 della Suprema Corte. La sentenza gravata avrebbe infatti dovuto considerare l'oggettiva pericolosità del guard rail nello stato in cui si trovava in rapporto con le circostanze di luogo (strada rettilinea, fondo asciutto, illuminazione sufficiente, limite di velocità di 50 kmh) e le modalità del sinistro (impatto alla velocità di 100 km/h, il doppio del limite fissato su quel tratto).
I giudici di merito avrebbero dovuto verificare se la minore altezza della barriera di contenimento, pur risultando regolamentare, abbia avuto (o meno) attitudine a recare danno nelle circostanze concrete di cui sopra “e, quindi, semmai ascrivere a quegli stessi standard regolamentari del D.M. n. 223 del 1992 il ruolo di regola prudenziale correlata al rischio concreto per la sicurezza degli utenti (art. 14 C.d.S.)”. Invece, la decisione impugnata ha considerato le regole all’epoca vigenti come cogenti, benché non applicabili al tratto di strada interessato. Così facendo è stato elevato “a parametro imposto dalla normativa specifica di settore la diversa altezza del guard rail e rispetto a questo parametro soltanto ha valutato la capacità della res a determinare il danno”.