In materia di responsabilità civile, derivante da un evento che ha cagionato la morte della vittima, per il risarcimento del danno sono legittimati ad agire in giudizio i suoi eredi.
Risarcimento a titolo ereditario e a titolo personale
Il diritto ad agire nei confronti del responsabile del danno in questi casi può avere una duplice natura: a titolo ereditario, nel senso che gli eredi subentrano nell’esercizio del diritto al risarcimento del danno patito direttamente dalla vittima, ma che questi non ha potuto esercitare a causa del decesso; nonché a titolo personale in quanto l’evento lesivo ha cagionato un danno agli eredi, ad esempio per la sofferenza causata dalla perdita del congiunto. In entrambi i casi chi chiede il risarcimento deve provare il danno subito, nonché dimostrare il legame affettivo con la vittima; su quest’ultimo punto e, in generale, sui requisiti che legittimano la domanda risarcitoria dei parenti si è più volte espressa la Corte di Cassazione, dettando i principi di diritto in materia.
Il requisito della convivenza
Tra le varie pronunce, l’ordinanza n. 8218/2021, nella quale è stato affrontato l’argomento della convivenza tra parenti e vittima quale condizione per il risarcimento. La Corte ha rilevato che, se da un lato, occorre certamente evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati, dall'altro non può tuttavia condividersi l'assunto che il dato esterno ed oggettivo della convivenza possa costituire elemento idoneo di discrimine e giustificare dunque l'aprioristica esclusione, nel caso di non sussistenza della convivenza, della possibilità di provare in concreto l'esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto. La convivenza, piuttosto, costituisce elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il l’ammontare del risarcimento.
Presunzione del legame affettivo
Più di recente, con l’ordinanza n. 9010/2022 la Suprema Corte ha affermato che, in tema di liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, nel caso in cui si tratti di congiunti appartenenti alla cd. famiglia nucleare (e cioè coniugi, genitori, figli, fratelli e sorelle) la perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto può essere presunta in base alla loro appartenenza al medesimo "nucleo familiare minimo", nell'ambito del quale l'effettività di detti rapporti costituisce tuttora la regola, nell'attuale società, fatta salva la prova contraria da parte del convenuto autore del danno. Naturalmente, anche la prova contraria può essere fornita sulla base di elementi presuntivi, tali da far venir meno la presunzione di fatto derivante dall'esistenza del mero legame coniugale o parentale, nel qual caso sarà onere del danneggiato dimostrare l'esistenza del suddetto vincolo in concreto, sulla base di precisi elementi di fatto.
Rapporto coniugale
Con riguardo alla perdita del rapporto coniugale, in particolare, elementi idonei a far ritenere attenuata ovvero addirittura del tutto superata la presunzione di perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il coniuge defunto, sono stati ravvisati nella separazione, legale e/o di fatto, tra i coniugi stessi. Resta comunque ferma la possibilità per il coniuge superstite di dimostrare la sussistenza di un vincolo affettivo particolarmente intenso nonostante la separazione ovvero la mancanza di convivenza. Spetta, in ogni caso, al giudice valutare la concordanza degli indizi e delle prove fornite dalle parti, al fine di stabilire se, prima del decesso, chi agisce per il risarcimento del danno parentale avesse un legame affettivo con la vittima, a prescindere dalla stabile convivenza con la stessa.