La Corte di Cassazione è intervenuta di recente, con l’ordinanza n. 30730/2019, a rilevare le differenti conseguenze del mancato pagamento dei canoni di locazione nei contratti ad uso abitativo ed in quelli ad uso non abitativo.
Art. 5 L. 392/78
Il punto di partenza è la considerazione della diversa disciplina che regola la materia, in particolare l’art. 5 della l. 392/1978 (legge sull’equo canone) che, relativamente ai soli contratti ad uso abitativo, stabilisce che il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista (ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone), costituisce motivo di risoluzione del contratto.
Tale norma, in concreto, sancisce la possibilità, per il proprietario dell’immobile locato ad uso abitativo, di chiedere al giudice di dichiarare risolto il contratto di locazione, semplicemente allegando che, nel termine di 20 giorni dalla scadenza mensile pattuita, il conduttore non ha versato il canone di locazione, come pure in caso di mancato pagamento delle quote condominiali per due mensilità consecutive.
È prevista, tuttavia, la possibilità, per il conduttore, di sanare la morosità in udienza, pagando tutti i canoni e gli oneri insoluti, oltre interessi e spese legali, per non più di tre volte in quattro anni, come dispone l’art. 55 l. equo-canone, salvo termini più lunghi nei casi di comprovate difficoltà economiche del conduttore.
Contratti ad uso non abitativo
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza richiamata, osserva anzitutto che le norme appena citate, in particolare l’art. 5, non si applicano ai contratti di locazione ad uso non abitativo, poiché l’art. 41 l. equo canone, nell’estendere anche a detti contratti la disciplina dei contratti abitativi, non richiama quegli articoli di legge.
Per giurisprudenza costante, infatti, è esclusa l’estensione della disciplina di cui all’art. 5 alle locazioni non abitative, con la conseguenza che l’unica norma applicabile in questi casi è l’art. 1455 del Codice Civile, in materia di risoluzione del contratto per inadempimento di una delle parti.
Ricordiamo che, in generale, quando, nel corso di un qualsiasi tipo di contratto, una delle parti non adempie la propria prestazione (ad es., nella compravendita l’acquirente non paga tutto a parte del prezzo pattuito) l’altro contraente può, a scelta, domandare l’adempimento oppure la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno.
Art. 1455 C.C.
Nel caso in cui la parte adempiente voglia risolvere il contratto, l’art. 1455 C.C., richiamato dalla Corte di Cassazione, precisa tuttavia che la risoluzione non può aversi se l’inadempimento ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra.
Tornando al caso della locazione non abitativa, il giudice chiamato a pronunciarsi nella causa di risoluzione del contratto, pertanto, dovrà valutare se il mancato pagamento del canone di locazione possa ritenersi un grave inadempimento, avuto riguardo all’interesse del proprietario dell’immobile.
Nel caso specifico esaminato dalla Cassazione nell’ordinanza richiamata, il conduttore non aveva pagato tre mensilità alle scadenze pattuite, ma aveva provveduto a sanare la morosità all’udienza di convalida di sfratto, deducendo che il ritardo era imputabile ad errori dell’home banking e ad altre cause esterne.
Circostanze tutte ritenute irrilevanti dai giudici di primo e secondo grado, le cui decisioni sono state confermata dalla Cassazione, che ha, pertanto, respinto il ricorso del conduttore.