Qualsiasi tipo di contratto può essere risolto dalle parti che lo hanno stipulato, in ogni momento, di comune accordo; sia parla, a tal proposito, di “mutuo consenso”, o anche “mutuo dissenso”, con riferimento alla volontà di tutti i contraenti di un negozio giuridico di scioglierlo.
Tale possibilità è espressamente prevista dall’art. 1321 del codice civile, in base al quale le parti possono accordarsi per stipulare un contratto, come anche per modificarlo o estinguerlo.
Obblighi restitutori
Se, tuttavia, vi è stato un principio di esecuzione del contratto, cioè una o entrambe le parti hanno posto in essere almeno parzialmente le loro prestazioni, l’accordo di risoluzione dovrà regolare le reciproche restituzioni.
Pensiamo al caso di una compravendita di un bene mobile: se entrambe le parti ci ripensano ma il bene è stato già consegnato e l’acquirente ha già versato tutto o parte del prezzo, le parti dovranno pattuire, meglio per iscritto al fine di potersene avvalere in caso di controversia, le modalità ed i termini della restituzione del bene al venditore e la restituzione della somma versata all’acquirente, oltre ad eventuali altre previsioni, come gli interessi sul prezzo o l’indennizzo in caso di danneggiamento del bene.
Inadempimento delle parti
Può succedere anche che il contratto si risolva per effetto dell’inadempimento contrattuale di entrambe le parti, che ognuna faccia valere nei confronti dell’altra.
L’art. 1453 c.c. stabilisce, infatti, che nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
In queste ipotesi è verosimile che ciascuno tenti di far ricadere sull’altro la responsabilità dell’inadempimento e della risoluzione del contratto, chiedendo di essere risarcito del danno subito; a decidere sarà il giudice investito della causa, su ricorso di una delle parti, a cui l’altra potrà eccepire di essere stata a sua volta inadempiente.
La Cassazione sul caso
Di questo si è occupata la Corte di cassazione, nell’ordinanza n. 19706 del 21 settembre 2020, in un caso in cui, dopo aver stipulato un contratto preliminare di compravendita di un immobile, sia il promittente venditore sia il promittente acquirente chiedevano la risoluzione del contratto, ritenendo la controparte inadempiente ai propri obblighi.
In particolare, il promittente venditore chiedeva la restituzione dell’immobile affermando che l’altra parte avesse omesso di aver versato il prezzo pattuito, mentre il promittente acquirente riteneva che l’immobile preso in consegna presentasse dei difetti, per cui chiedeva la risoluzione per inadempimento dell’altra parte.
Si tratta di ipotesi in cui non si può parlare di mutuo consenso per lo scioglimento del contratto, poiché la volontà di ciascuna parte è quella di addebitare all’altra la responsabilità dell’inadempimento ed ottenere il risarcimento del danno.
Volontà contrapposte
Sul punto la Corte di Cassazione, su ricorso di uno dei contraenti, ha affermato il principio secondo cui “quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all'altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione dello stesso, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, sono tuttavia, in considerazione delle premesse contrastanti, dirette all'identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale”.
Ciò significa che, a prescindere dal consenso, ciò di cui bisogna tenere conto è la volontà di entrambi di svincolarsi dal rapporto contrattuale; quanto alla valutazione dell’inadempimento, spetta al giudice di merito valutare se entrambe le parti siano venute meno ai rispettivi obblighi oppure se l’inadempimento sia imputabile all’una o, piuttosto, all’altra.