Il nostro ordinamento riconosce al possessore di un bene, mobile o immobile, una tutela giuridica nei confronti di chi lo abbia privato del bene o gli abbia arrecato molestie o turbative.
In questi casi si parla di “spoglio” da parte del soggetto che ha privato il possessore del godimento del bene e di “azioni possessorie” con riferimento alle azioni giudiziarie a tutela del possesso.
Azione possessoria
In base all’art. 1168 del codice civile chiunque sia stato spogliato del possesso di un bene, in modo violento o clandestino, può, entro l’anno dallo spoglio, chiedere la reintegra del possesso contro l’autore dello spoglio, rivolgendosi al tribunale.
Perché si abbia spoglio è necessario, pertanto, che l’autore dello stesso abbia compiuto atti che impediscono al possessore del bene di goderne.
Per chiarire meglio, facciamo l’esempio dell’abusivo cambio di serratura (ad una porta, ad un cancello d’ingresso o ad una cassetta di sicurezza) o all’apposizione di lucchetti da parte di terzi, che impediscono al possessore di utilizzare il bene.
Atto di spoglio
La Corte di Cassazione, a tal proposito, ha chiarito che in tema di azioni possessorie, configura un atto di spoglio la sostituzione della serratura della porta di accesso all’immobile da parte dei detentori, se ad essa non sia seguita la consegna di copia delle chiavi ai proprietari che ne avevano fatto richiesta, qualificandosi tale azione come privazione del possesso fino ad allora esercitato dai proprietari. ( Cass. 14819/2014 conforme a Cass. 1426/2004).
Per essere reintegrato nel possesso, dunque, il soggetto cha ha subito la spoglio, entro un anno dallo spoglio – o, nel caso di spoglio clandestino, entro un anno dalla scoperta dello spoglio – dovrà rivolgersi al Tribunale competente, che, potrà ordinare il ripristino della situazione anteriore allo spoglio.
Importante è rilevare che l’accertamento del giudice prescinde dalla titolarità del possessore, cioè dal diritto alla base del possesso ( diritto di proprietà o altro diritto reale); l’azione possessoria, infatti, è caratterizzata dalla sommarietà e celerità del procedimento, fondato solo sulla prova dello spossessamento o della turbativa.
Termine di decadenza
Circa il termine annuale di decadenza, la norma richiamata precisa che, in caso di spoglio clandestino, il termine decorre dalla scoperta dello spoglio da parte di chi lo ha subito.
Sul punto si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23870/2021, pubblicata il 3 settembre 2021, in un caso relativo al ricorso presentato in tribunale da un soggetto che denunciava la chiusura del proprio fondo da parte del vicino, mediante sbarra metallica e serratura con lucchetto, che ne impedivano l’accesso da parte del conduttore del fondo del ricorrente.
La parte resistente eccepiva la tardività del ricorso, motivo che veniva accolto dalla Suprema Corte, la quale richiamava un principio già espresso dalla stessa giurisprudenza, secondo cui la norma di cui all’art. 1168 del codice civile va interpretata nel senso che il termine previsto per proporre l'azione decorre - nel caso di spoglio clandestino e cioè all'insaputa del possessore - dal momento in cui la parte che ne è stata privata è in condizione di avvedersi dello spoglio, usando la diligenza ordinaria dell'uomo medio (cfr. Cass. 7267/2006).
Diligenza ordinaria
La tempestività dell'azione di spoglio, la cui prova incombe sulla parte che agisce in reintegra, non è, pertanto, da intendersi come rimessa alla soggettiva conoscenza dello spoglio ma è ricollegata alla conoscibilità dello stesso secondo la diligenza ordinaria dell'uomo medio.
Nel caso sottoposto all’esame della Cassazione nell’ordinanza richiamata il motivo di ricorso veniva accolto, non ritenendosi che la circostanza che il fondo fosse dato in affitto a terzi potesse ritenersi sufficiente a giustificare la tardiva conoscenza dello spoglio da parte di chi chiedeva la reintegra del possesso.