La sentenza n. 8459/2020 offre alla Corte di Cassazione l’occasione per chiarire alcuni principi in materia di tutela della privacy e trattamento dei dati personali, con particolare riferimento al materiale biologico.
Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava il ricorso presentato da un soggetto nei cui confronti il figlio naturale aveva richiesto il riconoscimento della paternità, tramite l’espletamento, nei gradi di merito del giudizio, di C.T.U. su materiale biologico proveniente da vetrini depositati presso l’azienda sanitaria dove il ricorrente era stato in precedenza ricoverato per patologie respiratorie.
Regolamento UE 679/2016
Tra i principi desumibili dalla disciplina comunitaria e nazionale in tema di trattamento dei dati personali, anzitutto c'è quello desumibile dall'art. 4, par. 1, n. 1, del Regolamento UE 2016/679, ovvero del divieto di illecita acquisizione, ai fini probatori, di informazioni identificative della qualità di una persona fisica che costituiscono oggetto del diritto assoluto alla protezione dei dati personali, ricompreso tra le libertà fondamentali della persona.
Tuttavia è la stessa legge che ne definisce i limiti, attribuendo prevalenza, rispetto ai diritti dell'interessato, al trattamento dei dati personali se eseguito per ragioni di giustizia, precisando che il divieto di "trattare dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona", non si applica nei casi in cui il trattamento si renda necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali (Regolamento UE art. 9, par. 1 e 2, lett. f).
Prevalenza dell’interesse a fini di giustizia
La stessa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 3034/2011, ha precisato che non costituisce violazione della legge l’utilizzo dei dati personali, quando questi siano raccolti e gestiti nell'ambito di un processo.
La Suprema Corte, pertanto, afferma che sul diritto alla privacy del soggetto prevale il trattamento dei dati personali effettuato per ragioni di giustizia, per tale intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie (art. 47 Dlgs n. 196/2003 nel testo anteriore alla abrogazione disposta con il dlgs n. 101/2018.)".
Conservazione dei dati
Inoltre, la norma del Codice Privacy che prevede la distruzione dei dati, una volta raggiunta la finalità del trattamento, deve essere messa in relazione con altre disposizioni, tra cui l'art. 22, comma 5; dall’interpretazione sistematica delle norme in materia si ricava che la conservazione dei dati personali, compreso il vetrino che contiene il campione biologico con le indicazioni idonee a identificare il soggetto a cui appartiene, è giustificata nel momento in cui emergono finalità istituzionali dell'ente pubblico, come nel caso di specie, ossia l'impiego giudiziario dei dati biologici.
La consegna dei vetrini da parte delle aziende ospedaliere, in ottemperanza ad un ordine del Giudice nel corso di un giudizio civile, deve pertanto qualificarsi come adempimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziario che ha conferito l'incarico ad un CTU di acquisire anche "informazioni" presso terzi ai sensi dell'art. 194 c.p.c.