Con la sentenza n. 18762 del 23/09/2016 la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui la situazione di inaccessibilità a luogo privato aperto al pubblico (nella specie, un locale adibito all’utilizzazione di un bancomat), dovuta alla presenza di una barriera architettonica, legittima la persona disabile a ricorrere, anche nei confronti di privati, alla tutela antidiscriminatoria ex art. 3 della legge n. 67 del 2006.
TUTELA ANTIDISCRIMINATORIA
Il caso ha riguardato il ricorso presentato da un soggetto disabile, il quale aveva denunciato la violazione, da parte di un importante istituto di credito, della normativa antidiscriminatoria a tutela delle persone disabili e della legislazione che impone la rimozione delle barriere architettoniche.
La violazione contestata consisteva nell’aver installato un dispositivo di bancomat ad un’altezza tale da risultare inaccessibile da soggetti costretti su una sedia a rotelle, come il ricorrente, con un banco sottostante inidoneo all’appoggio e difficile da accostare.
LE LEGGI IN MATERIA
La Corte Suprema, con la sentenza richiamata, esamina il quadro normativo di riferimento, costituito dall’art. 24 della l. 104/92, che detta la legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, nonché dalla legge n. 13/1989 che contiene disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione di barriere architettoniche negli edifici privati, dai regolamenti e decreti attuativi delle predette leggi e della normativa regionale in materia e, per finire, dalla legge 1° marzo 2006 n. 67.
Con particolare riguardo a quest’ultima, contenente "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2006, si ritiene utile riportarne alcune norme.
L. 54/2006
All’art. 1 è precisato che la finalità della legge è quella, in conformità all'articolo 3 della Costituzione, di promuove la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.
L’art. 2 prevede che il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità. La stessa norma specifica che si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga; si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone.
Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.
TUTELA GIURISDIZIONALE
L’art. 3, richiamato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame, prevede le modalità di esercizio della tutela giurisdizionale da parte delle persone disabili avverso comportamenti ed atti discriminatori, stabilendo che, con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, e adotta ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l'adozione, entro il termine fissato nel provvedimento stesso, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Il giudice, inoltre, può ordinare la pubblicazione del provvedimento adottato, a spese del convenuto, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato.
Sulla base di tale ultima disposizione, la Suprema Corte ha ritenuto che l’installazione del bancomat denunciato dal ricorrente costituisse una barriera architettonica, in quanto di ostacolo all’accesso da parte dei disabili, rendendosi necessaria un’opera di adeguamento a tutela delle categorie discriminate, nel rispetto dei parametri tecnici individuati dalla normativa di settore.