Cosa accade se un bene in comunione viene espropriato dai creditori personali di un comproprietario? Le risposte sono diverse a seconda che si tratti di comunione ordinaria o comunione legale tra coniugi, così come differenti possono essere gli esiti della procedura espropriativa azionata dal creditore personale.
RESPONSABILITA’ PER DEBITI PERSONALI
Occorre premettere che ciascun comproprietario – sia nel caso di comunione ordinaria che di comunione tra coniugi – può avere debiti contratti a titolo personale, cioè per obbligazioni che non riguardano la comunione o la famiglia se si tratta di coniugi; per questi debiti egli risponderà con il proprio patrimonio, costituito dai beni di cui è esclusivo proprietario e dalle proprie quote dei beni in comunione.
EFFETTI NELLA COMUNIONE ORDINARIA
Per quanto riguarda i beni in comunione ordinaria, in particolare, il singolo comproprietario risponderà nei limiti della propria quota, stabilita per legge o in base ad accordo con gli altri comproprietari.
Esempio di comunione e responsabilità pro-quota è quello della comunione ereditaria, che prevede una titolarità dei beni ereditari suddivisa per quote tra gli eredi, in base ai criteri individuati dal codice civile e, in caso vi sia, dal testamento.
Altro esempio è quello della comunione esistente tra soci di una società, in cui ogni partecipante è proprietario della quota così come individuata al momento della costituzione della società o a quello del successivo acquisto.
In tutte le ipotesi di comunione ordinaria il creditore particolare del singolo comproprietario potrà espropriare il bene appartenente al suo debitore, secondo diverse modalità: nel caso di quote sociali il codice civile prevede espressamente la possibilità di espropriare la singola quota, purchè si tratti di società di capitali (si veda l’approfondimento specifico sull’argomento).
ESPROPRIAZIONE DEI BENI INDIVISI
Negli altri casi si dovrà procedere all’espropriazione del bene “indiviso”, nel senso che nel corso dell’esecuzione forzata si dovrà provvedere alla divisione del bene in comunione e all’espropriazione della quota del singolo debitore.
Facciamo l’esempio di un immobile, appartenente a due soggetti al 50%: il creditore del singolo comproprietario potrà espropriare la metà del bene ma per far questo dovrà chiedere in giudizio la divisione del bene.
DIVISIONE DEL BENE PIGNORATO
Per poter mettere all’asta la quota del bene in comunione, infatti, vi sono tre possibili strade alternative: procedere alla separazione in natura del bene, oppure, quando ciò non è possibile, alla separazione giudiziale, sempre che non sia economicamente conveniente mettere in vendita la quota “indivisa”, cioè la quota del singolo debitore senza che venga separata dal bene.
La separazione in natura, per poter essere effettuata, presuppone che il bene sia comodamente divisibile e che la divisione non sia eccessivamente onerosa; tale valutazione sarà fatta dal giudice dell’esecuzione, il quale potrà avvalersi del supporto di un consulente tecnico.
Nel caso di immobile si tratterà di valutare se, ad esempio, vi sono – o sono facilmente attuabili - più accessi, più servizi igienici e così via.
Nel caso in cui la separazione in natura non sia fattibile si procederà allo scioglimento della comunione, con apposito procedimento giudiziario nel quale il giudice verificherà la titolarità delle singole quote e dichiarerà sciolta la comunione; nell’un caso e nell’altro sarà possibile mettere all’asta la quota così separata, che diverrà di proprietà dell’aggiudicatario ed il cui ricavato servirà a soddisfare il creditore.
PECULIARITA’ DELLA COMUNIONE TRA CONIUGI
La procedura appena descritta segue delle regole parzialmente diverse nel caso di comunione tra coniugi, caratterizzata dal fatto che in questo caso ciascun coniuge è proprietario dell’intero bene, non potendosi suddividere la proprietà in “quote”.
Tale concetto, che in apparenza contraddice quanto comunemente si intende con riferimento all’istituto della comunione legale tra coniugi - in base al quale i beni che fanno parte della comunione appartengono al 50% a ciascun coniuge – è stato di recente chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6230 del 31/30/2016.
Con la richiamata pronuncia la Suprema Corte, infatti, ha affermato che la comunione tra coniugi ha la peculiarità di essere senza quote o “a mani riunite”, nel senso che, pur essendo entrambi i coniugi contitolari al 50%, lo sono, tuttavia, sull’intero bene (o beni in caso di diversi cespiti).
ESPROPRIAZIONE DELL’INTERO BENE
Sembrerebbe una sottigliezza, se non fosse per gli effetti pratici che tale peculiarità comporta per i creditori del singolo coniugi; essi, infatti, per recuperare il proprio credito, non potranno espropriare la quota del proprio debitore ma l’intero bene, con ogni conseguenza anche relativa alla trascrizione del pignoramento, che dovrà essere relativa all’intero bene, dunque contro entrambi i coniugi.
Ulteriore conseguenza è che ad essere posto in vendita, nella procedura espropriativa, sarà l’intero bene, pur se la metà del ricavato andrà restituita al coniuge non debitore, mentre l’altra metà servirà a soddisfare i creditori e a pagare le spese sostenute per la procedura esecutiva.