Si sente spesso parlare dai media di casi di malasanità, diffusi a livello nazionale, e delle conseguenze per coloro che sfortunatamente hanno dovuto fare i conti con queste realtà.
Dal punto di vista giuridico chi ha subito un danno cagionato da un medico o da altro personale sanitario nell’esercizio delle proprie funzioni può ricorrere in Tribunale per ottenerne il risarcimento, citando in giudizio i medici ed i responsabili dell’illecito.
RESPONSABILITA’ DEI MEDICI
In base all’art. 2043 del codice civile, infatti, qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che l’ha commesso a risarcire il danno.
La norma fa riferimento alla responsabilità extracontrattuale, che sorge quando un soggetto subisce un danno provocato da terzi non legati al danneggiato da un rapporto negoziale; nel caso diverso in cui tale rapporto sussista si parla invece di responsabilità contrattuale, come nel caso del medico o sanitario che opera all’interno di una struttura ospedaliera cui è legato da contratto di lavoro o altra convenzione.
Nella responsabilità extracontrattuale o “aquiliana” viene punita la condotta dolosa o colposa di chi cagiona il danno; il dolo consiste nella coscienza e volontà di porre in essere il comportamento illecito, la colpa si ha in caso di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
ONERI PROBATORI
Per ottenere il risarcimento dei danni subiti il danneggiato che agisce in giudizio deve in primo luogo dimostrare che tra fatto illecito e danno sussista un nesso di causalità, cioè che l’evento dannoso sia stato determinato proprio dalla condotta tenuta dal responsabile, nel caso specifico dal medico o sanitario.
In secondo luogo è necessario dimostrare di aver subito un danno, quantificandolo, laddove possibile, nei termini di una perdita subita o di un mancato guadagno, voci che compongono il danno patrimoniale.
Accanto a questo tipo di danno vi è il danno biologico, comprendente le lesioni temporanee e permanenti fisiche e psichiche derivanti dal fatto denunciato, nonché il danno morale, cioè la sofferenza interiore ed il patimento subiti a causa dell’evento lesivo.
Di tutte queste voci di danno colui che chiede il risarcimento deve fornire la prova in giudizio, esibendo al giudice la documentazione comprovante la perdita patrimoniale, il danno fisico e/o psichico, il peggioramento della propria vita di relazione a seguito del sinistro, anche ricorrendo a prove testimoniali e perizie mediche.
VALUTAZIONE EQUITATIVA DEL DANNO
Laddove non sia possibile quantificare esattamente il danno subito ma questo sia certo e dimostrato è possibile chiedere al giudice una valutazione in via equitativa, cui questi giungerà ricorrendo a parametri ritenuti congrui dalla giurisprudenza e dalla scienza medica.
A tal proposito si segnala un’importante pronuncia della III sezione della Corte di Cassazione, l’ordinanza n. 7260 del 23/03/2018, che si è occupata di un caso relativo alla mancata diagnosi di patologia ad esito infausto, da parte dei medici cui si era rivolto il soggetto poi deceduto.
IL CASO DECISO DALLA CASSAZIONE
L’azione di risarcimento danni, proposta dalle figlie del soggetto, cui era stata diagnosticato con molto ritardo un tumore, verteva in particolare sulla perdita di chances che il ricorso a cure palliative avrebbe consentito al padre, il quale – a causa del ritardo nella diagnosi – non aveva potuto beneficiarne.
La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda delle attrici, ritenendo non provate in modo specifico le voci di danno relative, atteso che non era stato dimostrato quali alternative di vita avrebbe avuto il padre se avesse fatto ricorso alle cure palliative.
DIRITTO DI AUTODETERMINARSI
La Suprema Corte, pur rilevando l’inadeguatezza della formulazione della domanda risarcitoria (essendo improprio il riferimento alla perdita di chances) mette in risalto un aspetto fondamentale dell’intera vicenda, facendo leva su un diritto fondamentale di ogni individuo, quello di autodeterminarsi anche in prossimità della fine della propria esistenza.
Afferma la Cassazione, a tal riguardo, che “la violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto, coincide con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico della condizione patologica, l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno con liquidazione equitativa”.
DIRITTO ALLE CURE PALLIATIVE
Ciò significa che, una volta accertata l’omissione o l’errore da parte dei sanitari, relativamente alla diagnosi di una patologia grave che conduce alla morte, non è necessario dimostrare in cosa consista il danno, laddove l’errore abbia impedito al paziente di porre in atto le sue ultime scelte, anche facendo ricorso alle cure palliative.
A quest’ultimo proposito ricordiamo come il recente intervento legislativo sul cosiddetto “biotestamento” (legge n. 219 del 22.12.2017, contenente “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) prevede, tra l’altro, all’art. 2 l’obbligo per i medici, in presenza di pazienti con malattie in fase terminale o gravi sofferenze, di somministrare le cure palliative contro il dolore di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.