Nel mondo del lavoro le aziende di medie e grandi dimensioni spesso provvedono ad esternalizzare i servizi, affidando ad altre società lo svolgimento di alcuni rami d’attività.
Tale fenomeno, se da una parte consente alla grande impresa di ridurre i costi e snellire l’organizzazione del lavoro, dall’altra comporta una frammentazione dell’attività d’impresa, suddivisa tra molteplici aziende presso cui i lavoratori prestano la propria attività; si tratta, spesso, di piccole cooperative, a volte consorziate tra di loro, che svolgono attività di volta in volta commissionate dalla grande impresa.
DISCIPLINA DEL LAVORO IN APPALTO
Lo strumento giuridico più diffuso in questi casi è l’appalto, utilizzato sia da committenti privati che da enti pubblici, per l’esecuzione di opere e servizi.
Dal punto di vista civilistico l’appalto è disciplinato agli artt. 1655 – 1677 del codice civile; l’art. 1655 lo definisce come“ il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi al rapporto con i dipendenti può accadere che, nel processo di esternalizzazione, i contratti di lavoro vengano ceduti ad altre società oppure che i lavoratori vengano licenziati dalla società committente per essere assunti dall’appaltatrice.
In quest’ultima ipotesi se, di fatto, i lavoratori continuano a prestare la propria attività presso la sede della società committente e ricevono direttive dalla medesima, potrebbe trattarsi di un appalto simulato o interposizione fittizia di manodopera.
E’ importante verificare tali aspetti in caso di insolvenza della società appaltatrice, che, spesso di piccole dimensioni, può trovarsi in difficoltà economica e non versare gli stipendi ai dipendenti esternalizzati; vediamo, dunque, quali sono le tutele che la legge riconosce a questi lavoratori.
RESPONSABILITA’ IN SOLIDO DEL COMMITTENTE
In primo luogo la legge stabilisce una responsabilità solidale del committente con l’appaltatore; ciò significa che, in caso di inadempimento della società appaltatrice agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, ne risponde anche la committente.
La responsabilità solidale del committente con l’appaltatore è sancita in via generale dal codice civile all’art. 1676, ed in modo speciale dall’art. 29 2 comma dell’art. 29 del decreto legislativo 276/2003 ss. mod., che regola la responsabilità solidale nell’ambito dell’appalto di opere o servizi a carico del committente per i crediti retributivi vantati dai lavoratori dipendenti verso il datore di lavoro-appaltatore e per le obbligazioni contributive di cui sono titolari gli enti previdenziali.
Entrambe le azioni consentono di chiamare in causa committente ed appaltatore, facendo valere la responsabilità solidale; vi sono tuttavia alcune differenze, ad esempio il termine di decadenza biennale previsto dall’art. 29 per l’esercizio dell’azione nei confronti del committente, che decorre dalla cessazione dell’appalto, non previsto invece dall’art 1676 c.c..
INTERPOSIZIONE FITTIZIA DI MANODOPERA
Si è in presenza di interposizione fittizia di manodopera, vietata da una legge risalente al 1960, la n. 1369 che all’art. 1 ne dichiara l’illegittimità, quando i dipendenti della società appaltatrice sono di fatto assoggettati al potere organizzativo ed alle direttive della società committente, che rimane l’effettivo datore di lavoro pur se formalmente i lavoratori sono assunti dall’appaltatore.
Per l’accertamento dell’interposizione fittizia – che produce l’effetto della diretta riconducibilità del rapporto di lavoro alla società committente – occorre che il lavoratore dimostri in tribunale una serie di elementi che consentono al giudice di individuare la fattispecie dedotta.
PROVA DELL’INTERPOSIZIONE
La Corte di Cassazione, in proposito, ha affermato di recente, con la sentenza n. 1756/2018, che il divieto di interposizione illegittima di manodopera opera in presenza di un contratto d’appalto in cui siano attribuiti all'appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (retribuzione, assegnazione turni di lavoro e ferie), difettando, invece, al contempo una reale organizzazione della prestazione stessa supportata da mezzi e capitali propri e finalizzata ad un risultato produttivo autonomo.
Per giurisprudenza costante della Suprema Corte, richiamata in altra sentenza n.7179/2017, l’ipotesi di appalto di manodopera è configurabile non solo in presenza degli elementi presuntivi considerati dal terzo comma del citato art. 1 della l. 1369/1960 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante), bensì anche quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un’autonoma organizzazione, da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli.
CONSEGUENZE
Una volta accertata l’interposizione fittizia, pertanto, il lavoratore potrà ottenere dal Tribunale una sentenza che ordini alla committente il pagamento delle somme dovute dall’appaltatore fittizio o, ove ne ricorrano i presupposti di legge, la reintegra nel posto di lavoro alle proprie dipendenze.