Si parla di responsabilità professionale quando si fa riferimento agli errori, più o meno gravi, commessi da un professionista - avvocato, notaio, commercialista, architetto, medico – nei confronti del cliente o paziente, nello svolgimento delle proprie prestazioni, che abbiano cagionato un danno valutabile economicamente.
In sede civile per ottenere il risarcimento del danno occorre agire in giudizio, dinanzi al Tribunale competente per territorio, citando il professionista e la compagnia assicurativa che lo manleva, previo tentativo di conciliazione stragiudiziale dinanzi ad un organismo di mediazione.
RESPONSABILITA’ CIVILE
Le norme che disciplinano la responsabilità professionale sono, in primo luogo, l’art. 1176 del codice civile, che, nel porre come criterio generale nell’adempimento delle obbligazioni la diligenza del buon padre di famiglia, per le obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale richiede una diligenza “qualificata”, cioè superiore alla media e rapportata alle competenze specifiche necessarie alla professione.
La conseguenza è che il professionista risponde dei danni provocati, oltre che per dolo e colpa grave, anche per negligenza, imprudenza e colpa lieve, attesa la specifica preparazione e conoscenza della materia che egli deve avere.
CASI DI PARTICOLARE DIFFICOLTA’ TECNICA
La legge, tuttavia, prevede un caso di attenuazione di responsabilità del professionista, disciplinato all’art. 2236 c.c., in base al quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave; ciò significa che deve trattarsi di casi in cui l'impegno intellettuale richiesto è superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch'esse superiori alla media.
In quest’ultima ipotesi l’onere di provare che si sia trattato di un caso di particolare difficoltà grava sul professionista, mentre al danneggiato spetta dimostrare, come in tutti i casi di responsabilità civile, il nesso di causalità tra il danno subito e la condotta posta in essere dal professionista.
CONDOTTA OMISSIVA
Una fattispecie particolare è quella della responsabilità per condotta omissiva, che si verifica quando il professionista, tenuto a compiere una determinata attività nell’interesse del suo assistito, omette invece di svolgerla, cagionando in tal modo un danno al cliente.
Anche in questa ipotesi il danneggiato, per ottenere il risarcimento, è tenuto a dimostrare che il danno sia dipeso dalla condotta del professionista; tuttavia, poiché si è in presenza di un’omissione, la prova che se fosse stata svolta l’attività il danno non si sarebbe verificato non può basarsi su dati o prove caratterizzati dalla certezza.
Ad esempio, consideriamo il caso di un avvocato che ometta di riassumere un giudizio per conto del proprio cliente, facendo scadere i termini di legge, quindi lo privi, di fatto, della possibilità di difendersi; il cliente dovrà dimostrare che, se l’avvocato avesse riassunto il giudizio, egli avrebbe avuto non solo la possibilità di tutelare i propri diritti ma anche che la sua domanda sarebbe stata accolta dal giudice, dunque che avrebbe vinto la causa.
Un caso simile è stato esaminato di recente dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 10586 del 04/05/2018, in cui il professionista citato in giudizio era un commercialista, responsabile, a detta del suo cliente, una società, di aver impugnato tardivamente una cartella esattoriale dinanzi alla competente commissione tributaria, nonché di aver ommesso di esercitare l’azione nell’interesse anche dei soci della società.
PROVA DELL’ ESITO POSITIVO DELL’ATTO OMESSO
La Suprema Corte, nel ribadire un principio generale in tema di responsabilità civile, afferma che il professionista non è responsabile qualora non vi sia la prova da parte del cliente che la proposizione di un atto tempestivo avrebbe avuto esito positivo, ovvero sarebbe stato accolto.
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, l'errore del commercialista, consistito nel proporre tardivamente un ricorso avverso un atto impositivo, intanto può ritenersi produttivo di danno, in quanto si deduca e dimostri che, se tempestivamente proposto, quel ricorso sarebbe stato verosimilmente accolto; il cliente, infatti, oltre a provare il danno, deve anche dimostrare che se fosse stato proposto l’atto in contestazione ciò avrebbe comportato un accoglimento delle proprie pretese.
Oltre al danno, dunque, occorre dimostrare il nesso di causalità con la condotta del professionista e, nel caso di omissioni, anche l’elevata probabilità, se non la certezza, in base alla norme in materia, che il compimento dell’atto avrebbe prodotto un vantaggio apprezzabile al cliente.