Debiti ereditari: chi ne risponde

Al momento dell’apertura della successione, che coincide con la morte del de cuius, coloro che succedono nei rapporti attivi e passivi del defunto sono definiti dalla legge “chiamati all’eredità ”; essi, infatti, assumono la qualità di eredi solo con l’accettazione dell’eredità.

Ricordiamo a tal proposito che Il nostro codice civile, all’art. 480, prevede un termine di dieci anni dall’apertura della successione per accettare l’eredità, o per rinunziarvi.

ACCETTAZIONE E RINUNZIA

L’accettazione dell’eredità può essere fatta con atto pubblico o scrittura privata autenticata e, in tal caso, si parla di accettazione “espressa”; si ha invece accettazione “tacita” quando il chiamato pone in essere atti dispositivi del patrimonio del defunto, attraverso i quali dimostri la volontà di accettare, come nel caso in cui stipuli contratti con terzi aventi per oggetto i beni ereditari.ì

Nello stesso termine di 10 anni il chiamato all’eredità può rinunziarvi, con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale in cui si è aperta la successione, atti che dovranno essere iscritti nel registro delle successioni e, in presenza di beni immobili, nei registri immobiliari.

La rinunzia comporta che il soggetto rinunziante non ha più alcun diritto né obbligo sul patrimonio del defunto, salvo limitati effetti relativi alle donazioni a lui fatte ed ai legati testamentari.

FISSAZIONE DEL TERMINE PER L’ACCETTAZIONE

Al fine di tutelare i terzi che vantano pretese creditorie nei confronti del de cuius, i quali non possono aspettare un arco di tempo così lungo la decisione dei chiamati, il nostro ordinamento, all’art. 481 c.c., consente loro di ricorrere all’autorità per far fissare un termine entro il quale i chiamati all’eredità devono dichiarare se accettare o rinunziare; la mancata comparizione all’udienza fissata dal giudice, da parte dei chiamati, fa presumere che essi abbiano rinunziato all’eredità.

Alla luce di questo quadro normativo si comprende l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, confermato da ultimo nell’ordinanza n. 17970 del 9 luglio 2018, relativa a debiti ereditari per i quali l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ai chiamati all’eredità le relative cartelle esattoriali.

DEBITI EREDITARI: LA CASSAZIONE

Nel rigettare le argomentazioni dell’amministrazione pubblica, secondo la quale per rispondere dei debiti del de cuius sarebbe sufficiente la sola apertura della successione e la semplice qualità di chiamato all’eredità, la Suprema Corte afferma che la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione espressa o tacita.

Ne consegue che incombe su colui che agisce in giudizio nei confronti del preteso erede l'onere di provare l'assunzione, da parte del convenuto, della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso,  ma che consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita.

ONERE DELLA PROVA

In caso, invece, di rinunzia, chi via abbia provveduto non risponde in nessun caso dei debiti ereditari, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell'eredità, del cui onere probatorio – in caso di debiti tributari - è onerata sempre l'amministrazione finanziaria e che non può fondarsi sulla mera presentazione della denuncia di successione, che non ha alcun rilievo ai fini dell'accettazione dall'eredità.

pubblicato il 31/07/2018

A cura di: Daniela D'Agostino

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