Con una recente ordinanza, la n. 20956/2022, la Corte di Cassazione ha affermato l’esclusione della disciplina relativa alle agevolazioni prima casa nelle ipotesi di cessazione di convivenza di fatto, con trasferimento della quota di comproprietà da un convivente all’altro.
Benefici prima casa
Ricordiamo che chi acquista la proprietà o altro diritto reale di godimento come prima casa da adibire ad abitazione principale gode di alcune agevolazioni fiscali, quali l’applicazione dell’imposta di registro al 2% e dell’IVA in misura ridotta e dell’imposta ipotecaria e catastale in misura fissa anziché in percentuale al valore catastale dell’immobile.
Tra i vari requisiti per beneficiare dell’agevolazione, la legge prevede che la casa acquistata con i benefici fiscali non possa essere rivenduta prima del decorso di cinque anni dal rogito; dall’entrata in vigore della legge di stabilità 2016, tuttavia, non vi è alcuna decadenza se entro un anno si acquista un nuovo immobile con gli stessi benefici. La mancanza – o il venir meno – di tali requisiti comporta la decadenza dai benefici fiscali, a seguito di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
È, tuttavia, possibile proporre opposizione all’avviso notificato dall’amministrazione finanziaria, invocando l’esimente della forza maggiore, cioè di una causa imprevedibile e non imputabile al contribuente, che abbia fatto venir meno uno o più dei requisiti di legge.
Cessione di quota tra conviventi more uxorio
Nel caso oggetto di esame nell’ordinanza richiamata una coppia di fatto aveva acquistato in comproprietà un immobile, dividendo al 50% anche la spesa per il mutuo; la relazione era, però, finita poco dopo l’acquisto e i due avevano concordato di trasferire, con atto di cessione, la quota di lei a lui, con conseguente accollo anche della quota di mutuo. L’operazione era stata compiuta entro i cinque anni dall’acquisto ma la donna non aveva comprato un altro immobile entro l’anno dalla cessione della sua quota; per questa ragione l’Agenzia delle Entrate, ravvisando il venir meno dei presupposti per l’applicazione dei benefici prima casa, le aveva notificato l’avviso di pagamento, impugnato dalla medesima con ricorso accolto in primo grado e in appello.
La Corte di Cassazione, adita dall’Agenzia delle Entrate, ribalta le precedenti decisioni, sul presupposto che, dal quadro legislativo nazionale ed europeo, non si può ricavare l’equiparazione, a fini fiscali, della legge n. 74/1987, che all’art. 19 stabilisce l’esenzione da imposte e tributi degli atti conseguenti alla separazione e al divorzio; la ratio di tale disposizione, precisa la Cassazione, è quella di favorire la definizione conciliativa dei rapporti patrimoniali tra coniugi, ambito nel quale rientra sicuramente la cessione di immobile o di quota in comproprietà da un coniuge all’altro in sede di separazione e divorzio.
Revoca dei benefici
Per questa ragione, l’atto della cessione tra ex coniugi non può farsi rientrare nelle ipotesi di decadenza dei benefici prima casa, in quanto il legislatore ha inteso disciplinare gli accordi presi in tale contesto in modo tale che da essi non derivino ripercussioni fiscali sfavorevoli per il contribuente. Se questa è la disciplina relativa alla cessazione del matrimonio, prosegue la Suprema Corte, alle stesse conclusioni non può giungersi per quanto riguarda la fine delle convivenze di fatto, neanche a seguito dell’approvazione della legge n. 76/2016, nota come legge Cirinnà, che ha regolato le unioni civili; diversi, infatti, sono gli scopi delle leggi richiamate e non vi è alcuna norma dalla quale desumere l’estensione del regime fiscale di esenzione anche alle convivenze di fatto. Nel caso specifico dell’ordinanza esaminata, pertanto, il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, di revoca dei benefici prima casa, è stato ritenuto legittimo, diversamente da quanto concluso in precedenti pronunce relative a separazione o divorzio.