Uno dei problemi principali della giustizia italiana è quello della eccessiva durata dei processi, sia civili che penali, che normalmente si protraggono negli anni, con la conseguenza che, quando si arriva a sentenza, le parti in causa sono sfiancate dal lungo contenzioso o, come spesso accade, non hanno più interesse alla decisione perché, ad esempio, ad esse sono subentrati gli eredi.
Legge Pinto
In realtà ogni cittadino ha diritto ad un processo che abbia una “giusta” durata, come prevede l’art. 111 della Costituzione italiana; proprio per questo motivo dal 2001, entrata in vigore della legge n. 89/2001 (legge Pinto), è possibile ricorrere all’azione risarcitoria dinanzi alla Corte di Appello del distretto in cui ha sede il giudice dinanzi al quale si è svolto il primo grado, per l’accertamento della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e la condanna al risarcimento dei danni.
Va detto che, già prima dell’entrata in vigore della legge Pinto, era possibile ricorrere alla Corte europea di Strasburgo, per vedersi riconoscere il diritto al risarcimento connesso all’irragionevole durata del processo.
Giusta durata del processo
Ciò premesso, la Legge Pinto stabilisce dei parametri temporali per stabilire quando un processo può ritenersi di durata ragionevole, individuando i seguenti termini: tre anni per il processo in primo grado, due anni in secondo grado, un anno nel giudizio in Cassazione.
Per la fase di esecuzione forzata il procedimento deve concludersi in tre anni, per le procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo etc.) in sei anni.
In generale, il giudizio – in tutti i suoi gradi – è ritenuto di durata ragionevole se viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni.
Indennizzo
L’indennizzo è commisurato a ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo e può essere stabilito dalla Corte di Appello, tenuto conto di diversi elementi, quali l’esito del processo di cui si discute, del comportamento delle parti e del giudice, della natura degli interessi coinvolti, del valore e della rilevanza della causa.
La misura dell’indennizzo, in ogni caso, non potrà essere superiore al valore della causa di durata irragionevole o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice.
Sia la parte vittoriosa che quella soccombente nel giudizio possono avere interesse ad ottenere il ristoro dei danni per l’irragionevole durata del processo, poiché entrambe possono subire un pregiudizio dall’eccessivo protrarsi del contenzioso; come in tutte le cause, tuttavia, chi agisce per ottenere l’indennizzo deve dimostrare quali e quanti danni ha subito.
Processo esecutivo
Questo è il motivo per cui è difficilmente ravvisabile un danno in capo al debitore esecutato in una procedura esecutiva, mobiliare o immobiliare, che si sia protratta per molto tempo; pensiamo al caso del soggetto che abbia subito un pignoramento immobiliare nel corso di una procedura esecutiva che, prima di giungere a termine, cioè alla vendita all’asta dell’immobile pignorato, impieghi diversi anni.
Il soggetto espropriato, normalmente, ha tutto l’interesse a che la procedura si dilunghi e che, magari, non si giunga mai alla vendita dell’immobile perché, come può succedere, non vi sono offerte d’acquisto; difficilmente, pertanto, egli potrà essere legittimato a chiedere il ristoro dei danni per l’irragionevole durata del processo esecutivo.
La Cassazione sul punto
Sul punto si è pronunciata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2909 del 7 febbraio 2020, nella quale ha affermato che la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l'esecutato, poiché egli dall'esito del processo non riceve un danno ingiusto.
Un possibile danno per l’esecutato potrebbe aversi nel caso in cui il bene pignorato abbia un valore tale da consentire il pagamento di tutti i creditori; in questo caso, osserva la Suprema Corte, ai fini dell'equa riparazione da durata irragionevole, l'esecutato ha l'onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell'espropriazione, dimostrando che l'attivo pignorato o pignorabile fosse fin dall’inizio tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori siano lievitati a causa dei tempi processuali, in maniera da azzerare o ridurre l'ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente.