Nel nostro ordinamento particolare attenzione viene data al diritto di abitazione della casa familiare da parte del coniuge che si trovi, in alcune circostanze, potenzialmente esposto al rischio di perdere l’abitazione.
Nei casi di separazione e divorzio
Pensiamo alle ipotesi di separazione e divorzio, nelle quali la legge attribuisce al coniuge cui vengono affidati i figli il diritto a rimanere nella casa familiare. Nel caso in cui l’abitazione familiare sia condotta in locazione, il coniuge assegnatario dei figli, se il contratto di locazione è intestato all’altro, vi subentra di diritto; allo stesso modo nel caso di alloggio popolare condotto in locazione, come affermato dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza (n. 12114/2020), nella quale i giudici hanno messo in rilievo che la ratio di tutela dei soggetti deboli in caso di crisi coniugale è applicabile anche in tale ipotesi.
Successione ereditaria
L’esigenza di tutelare il coniuge in situazione di debolezza è alla base anche delle norme in materia di successione ereditaria; in particolare, il secondo comma dell’art. 540 c.c. stabilisce che al coniuge, anche quando concorre con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Riguardo alla natura di tale disposizione sempre la Cassazione ha chiarito che i diritti di uso e abitazione della casa familiare sono finalizzati a dare tutela, sul piano patrimoniale e su quello etico-sentimentale, al coniuge, evitandogli i danni che la ricerca di un nuovo alloggio cagionerebbe alla stabilità delle abitudini di vita della persona. (sentenza n. 2754/2018).
Trasmissione automatica del diritto di abitazione
In una recente pronuncia (ordinanza n.15667/2019) la Suprema Corte ha, inoltre, affermato che tali diritti hanno natura di legati ex lege e si costituiscono automaticamente in capo al coniuge al momento dell’apertura della successione, anche se il testatore ha attribuito ad altri la proprietà della casa o il godimento della stessa.
Il coniuge, pertanto, potrà rivendicare il diritto all’abitazione e all’uso dei mobili della casa familiare anche senza ricorrere eventualmente all’azione di riduzione, mentre gli altri eredi cui sia stata eventualmente attribuita la casa familiare non potranno avanzare alcuna pretesa sul diritto medesimo, salvo rinuncia da parte del coniuge beneficiario.
Casa intestata a un terzo
A conclusione diversa si deve giungere quando, invece, la casa di proprietà del coniuge deceduto sia intestata ad altro soggetto; in questa ipotesi il coniuge superstite non potrà far valere il diritto di abitazione.
Con l’ordinanza n. 29162/2021 la Cassazione ha affermato, infatti, che il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare, sancito dall'art. 540 c.c. in favore del coniuge sopravvissuto, sussiste qualora detto cespite sia di proprietà del "de cuius" ovvero in comunione tra questi e il coniuge superstite.
Tale diritto, al contrario, non sorge quando l’immobile sia in comunione tra il coniuge deceduto e un terzo, non essendo in questo caso realizzabile l'intento del legislatore di assicurare, in concreto, al coniuge sopravvissuto il godimento pieno del bene oggetto del diritto.
In queste ipotesi non spetta al coniuge superstite neppure l'equivalente monetario del diritto, nei limiti della quota di proprietà del defunto, poiché, diversamente "si attribuirebbe un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo ove apporti un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge sopravvissuto, garantendo in concreto il godimento dell'abitazione familiare".